Quant’è stretto il ponte sullo Stretto
C’è un singolare sincronismo negli annunci di Gordon Brown e Silvio Berlusconi. Il primo comunica la vendita del tunnel sotto la Manica per ridurre il debito pubblico, il secondo s’indebita per avviare i lavori del Ponte sullo Stretto di Messina. C’è un’altra bizzarra coincidenza tra i “gioielli” infrastrutturali di Downing Street e Palazzo Grazioli: il costo di entrambi, in fase progettuale, è stato stimato in cinque miliardi di euro. Alla fine il collegamento sottomarino di miliardi ne è costati 14 (e notoriamente inglesi e francesi, a differenza di noi italiani, non sono così elastici tra preventivo e consuntivo). Quanto al nostro Paese, visti i precedenti nel settore dei pubblici appalti, azzeccare la cifra che verrà realmente spesa è più complicato di un sei al superenalotto.
Qui, comunque, finiscono le analogie. Perché l’Eurotunnel è stato costruito totalmente con soldi privati (i proprietari, tra l’altro, dopo un ventennio di rosso, hanno visto da poco il primo dividendo: 4 centesimi di euro ad azione). Il Ponte, al contrario, è sostenuto da un consistente pilastro pubblico – il 40% delle risorse è statale – nonostante il ministro Matteoli e il premier si ostinino a sostenere la lieta novella del project financing che vede frotte di imprenditori pronti a tirar fuori i capitali per innalzare il collegamento sospeso.
E ancora. Se mai verrà fatto, il Ponte si candida a diventare un collegamento quasi esclusivamente stradale in un’area del Paese povera di binari, mentre il tunnel è un tunnel per i treni ed è arrivato alla fine di un percorso di potenziamento e ammodernamento della rete su ferro nel sud della Gran Bretagna e nel nord della Francia: un servizio in più, in un contesto di servizi funzionali ed efficienti, non la cattedrale nel deserto.
Soprattutto, però, c’è un problema di prospettive. Affidare al Ponte parte del rilancio economico, occupazionale, sociale e infrastrutturale italiano – come fa il premier – significa vivere da un’altra parte, non conoscere il contesto nazionale, non vedere che il nostro territorio ha bisogno di manutenzione (guarda la tragedia che è successa proprio a Messina) più che di grandi cantieri, che i 30 minuti che farebbe guadagnare il viadotto sullo Stretto sono zero rispetto alle ore che quotidianamente perdono i milioni di pendolari e tutti quelli che si spostano in città e nelle aree metropolitane. C’è fame di metropolitane, di ferrovie locali, di trasporto pubblico rapido, sicuro efficiente. E’ in questi campi, semmai, che vanno spesi soldi in infrastrutture: per riqualificare i centri urbani, migliorare la qualità della vita di chi abita, uscire dall’ingorgo, ridurre i gas serra e contrastare il cambiamento climatico. Mentre il Ponte, in questo momento, va davvero stretto al Paese.