La sesta w
Il 22 febbraio – a Roma – si discute di sostenibilità dell’informazione, new media e giornalismi in un incontro – intitolato la sesta w – con Alessandro Gilioli (L’espresso, blog Piovono Rane), Filippo Rossi (direttore Farefuturo web magazine), Giuseppe Smorto (condirettore Repubblica.it), Arturo Di Corinto (CATTID Università La Sapienza di Roma), Francesco Piccinini (direttore Agoravox Italia), Stefania Ragusa (presidente Movimento 1° Marzo 2010 – sciopero dei migranti). Ecco qui alcuni spunti. Ma voi cosa chiedereste a questo gruppo di interlocutori?
Le cinque dabliu (who, what, when, where, why) sono da tempo uno schema irrinunciabile del giornalismo. Ora c’è una sesta dabliu, il web, che propone nuove regole, suggerisce una comunicazione diversa, partecipata, dove l’utente può essere, insieme, il lettore e il media: l’informazione non è più monodirezionale, la stampa tradizionale è stata costretta a cedere il monopolio delle notizie, il giornalismo 2.0 è sempre più conversazione, discussione, confronto.
Come ha ben sottolineato l’editorialista americano Dan Gillmor i lettori, collettivamente, ne sanno sempre più di me e questo saperne di più, questo straordinario patrimonio di conoscenze e competenze è uno stimolo per chi scrive on line e offre l’opportunità alla rete di trasformarsi nel primo vero mezzo di comunicazione di massa, in un giornale al servizio della libertà di manifestazione del pensiero che dà, tra le altre cose, visibilità e diritto di parola a temi trascurati, lontani, cancellati.
Gli esperimenti e le esperienze consolidate (Wikipedia, Agoravox, Huffington Post, gli aggregatori di blog…) già mostrano le enormi potenzialità dello strumento e quanto sia stato profondo il cambiamento degli spazi a disposizione della comunicazione, dei modi di costruirla e di presentarla, dei canali per imporla all’attenzione della comunità: l’ecosistema dell’informazione – è ancora Gillmor a dirlo – non è più una piccola piscina privata, ma un oceano nel quale i media classici devono adattarsi a onde che non possono più controllare.
E i media classici? In particolar modo quelli italiani? Sono sospinti o sommersi dalle onde? Da noi l’influenza dell’informazione 2.0 su giornali, radio e tv s’è fatta sentire forte al livello estetico e molto poco a quello teoretico. In altre parole: i media tradizionali riproducono alcuni aspetti del web (rapidità degli aggiornamenti, sintesi dei testi, grafica…), prelevano a piene mani contenuti (da youtube, da facebook…), sfruttano i cronisti per caso (riprese e immagini fatte col videofonino o con la digicam). Non hanno invece sfruttato appieno la scintilla che sollecita l’apertura di una interazione tra chi scrive e chi legge, considerano il pubblico, l’ascoltatore, il lettore un semplice spettatore, un consumatore passivo. Certo lo strumento, il media classico, non ha (ancora) quella flessibilità che permette uno scambio immediato con l’utente. Ma non si tratta solo di un problema tecnico. L’influsso di internet avrebbe (forse) potuto facilitare la costruzione di un nuovo canale fiduciario tra l’autore di un testo e i suoi fruitori, spingendo in avanti la qualità e la correttezza dell’informazione. Spiego meglio dove voglio andare a parare: è probabilmente vero che, attualmente, la fiducia sulle informazioni che circolano in rete sia complessivamente più bassa della fiducia che si ripone nei media tradizionali; nello stesso tempo è assai probabile che – spostando lo sguardo dall’insieme ai sottoinsiemi – le comunità di utenti/autori di precisi spazi della rete (il blog preferito, il quotidiano specializzato on line, la testata di citizen journalism, l’amico di fb) assegnino alle loro webnews una credibilità maggiore rispetto, che so, alle notizie pubblicate dal Tg1 (indipendentemente dal minzolinismo) o dal Secolo XIX.
Tra le tante, infatti, una delle questioni aperte dell’informazione è proprio quella che riguarda la fiducia, la credibilità, l’obiettività e la neutralità dei media. E’ possibile (anche se non scontato) che il giornalismo 2.0 – grazie anche ai commenti dei lettori, al controllo e alle correzioni immediate di quanto pubblicato, all’arricchimento delle fonti che deriva dai link e dalle segnalazioni di altri utenti – abbia più anticorpi per evitare la faziosità, la partigianeria, la parzialità, che tenga in maggior considerazione l’interesse collettivo all’accesso e alla fruizione delle informazioni rispetto all’interesse particolare. E si tratta di capire se e come è possibile facilitare questo processo e se e come una rete più libera e indipendente può rendere più indipendenti e trasparenti anche i media tradizionali. Tuttavia si tratta anche di capire come i media on line possano evitare la tentazione di diventare monadi, chiuse in gruppi più o meno ampi di persone che la pensano allo stesso modo e che finiscono col confrontarsi sempre tra di loro.
Di questi temi, di come new media e social network cambiano il giornalismo si ragionerà il prossimo 22 febbraio a Roma nell’incontro organizzato dal blog Le Rane e intitolato la sesta w. Proprio in considerazione delle cose scritte finora sarebbe però più utile utile e interessante che a definire meglio il tema in discussione e a porre le domande a questi interlocutori (a tutti o a uno in particolare) foste voi, lettori/media. Da un incontro del genere cosa vi aspettate? Cosa vorreste sapere? Quale interrogativi ritenete più interessanti?