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I bamboccioni del petrolio

26 marzo 2009 0 commenti
Per utilizzare un termine che è sempre più in voga, propongo questo paragone con i bamboccioni.

Secondo le più imparziali stime sulle reali riserve petrolifere attuali, che sono poi alla base di tutto quello che ASPO divulga, siamo in corrispondenza del picco della curva di produzione mondiale di greggio. Non è molto importante sancire se il "punto" di massimo si situi a luglio 2008 o a gennaio 2010; quello che conta è contestualizzare la situazione per riuscire a gestire le enormi implicazioni che scaturiranno. Anche perchè un destino molto simile toccherà, con piccoli differimenti nel tempo, ad altre risorse minerarie che ad oggi sono altrettanto vitali per garantire il substrato necessario a "non far cadere" i sistemi estrattivi, industriali, dei trasporti, dei servizi, finanziari e socio-politici. Stiamo parlando del gas naturale, del carbone e dell'uranio.

Il punto è che l'intero mondo sviluppato è un bamboccione del petrolio; più in generale, un bamboccione delle risorse fossili, e ha serie difficoltà a liberarsi dal cordone ombelicale, per ragioni essenzialmente di convenienza economica e di inerzia dei macrosistemi. Un po' come avviene per i veri bamboccioni, italiani e non.

Come dice lo stesso nome, le risorse fossili sono destinate ad "esaurirsi"; naturalmente, non è che il 19 agosto 2082 avremo estratto l'ultimo barile di greggio, e il giorno dopo ci sarà l'armageddon. Gli effetti sono di respiro molto più ampio e distribuito, anche se non per questo meno duri.

In particolare, in prossimità del picco e nella fase discendente i sistemi citati sopra manifestano delle "instabilità ad alta frequenza".

Lo stiamo già vivendo: una diminuzione dell' "offerta" petrolifera comporta necessariamente delle difficoltà per i comparti industriali, che puntano, almeno nell'attuale paradigma, alla mitologica "crescita in(de)finita". In successione, scaturiscono difficoltà per le persone che perdono il posto di lavoro, difficoltà per gli istituti di credito che non riescono più a realizzare il previsto, difficoltà per gli Stati che intervengono per salvare industrie, banche e famiglie, e così via in una spirale perversa [si veda per un approfondimento l'ottimo post di Gail the Actuary, matematica nel settore attuariale ed editor/contributor a http://www.theoildrum.com/: "Peak oil and the financial crisis"].

In pratica, ci sono tutti gli elementi per veder partire un effetto valanga inarrestabile.

La razionalità scientifica ci porta a ritenere che ora che siamo al massimo della capacità produttiva fossile, occorrerebbe lanciare un massiccio piano di diffusione delle tecnologie di produzione di energia rinnovabile e di recupero materiali. Una razionalità ancora superiore (ma inattuabile, non potendo tornare indietro nel tempo) ci suggerirebbe che questo avrebbe dovuto essere fatto nel punto di "flesso" dell'ipotetica gaussiana della produzione petrolifera mondiale, intorno ai primi anni '80. Poco prima, cioè, che la curva esibisse sintomi di "stanchezza" (dopo il flesso, la "velocità di crescita" diminuisce; questo è un segnale di avvicinamento di un plateau).

E' difficile prevedere cosa avverrà esattamente, e la distribuzione nel tempo degli eventi; quello che è certo è che sarà un impatto non indifferente, come una di quelle enormi sfere metalliche che vengono utilizzate per abbattere gli edifici. Ecco, è come se l'umanità fosse all'interno di un vecchio edificio prima che arrivi la mazzata. L'intera struttura traballerà, e si sgretolerà in alcuni punti più fragili; ma con molta informazione, tanto sangue freddo e - non lo nascondo - un po' di fortuna, non assisteremo al collasso, e prenderemo coscienza collettiva dell'urgenza delle scelte da intraprendere.