Spigolature: linkoteca di ASPO – Italia
Il clima bilanciato
created by Maurizio Tron
«Guadiamo il torrente e risaliamo la ripidissima morena dietro il bivacco. Superatala faticosamente ci troviamo davanti ad un poetico pianoro di ghiaia solcato da tanti rii. Del ghiacciaio di Gay nemmeno l'ombra. Poi comincia il bello. Al posto del ghiacciaio, del quale resistono solo poche lenti di ghiaccio nerastro, c'è un'immensa distesa di pietre, terriccio, macigni enormi che si muovono appena li sfiori. Dello scivolo che saliva al colle di Gran Crou non rimane niente. Solo sassi e una parete in sfacelo. La salita si fa faticosissima. In qualche modo, tra rocce montonate e pietre che scivolano via sotto i nostri piedi, arriviamo a quella che pensavo fosse la lingua terminale del ghiacciaio di Gay, che ci accoglie con una bella scarica di sassi (alle 7 del mattino …). Mettiamo i ramponi, ma mordono ben poco su questo ghiaccio vecchio e duro come il marmo. Questo tratto ci impegna fisicamente e psicologicamente, anche il tratto nevoso è durissimo e i ramponi fanno fatica a mordere. Quindi la sorpresa. Ancora pietraie, ancora immondi sassi, ancora terreno schifoso. Togliamo di nuovo i ramponi, attraversiamo gli sfasciumi, li rimettiamo sul pezzo di ghiacciaio che una volta risaliva fin sulla vetta della Testa di Gran Crou. Rimane una gobba di ghiaccio nero, con qualche crepaccio, duro anche questo come il vetro. Del canalone nevoso del colle di Valnontey nessuna traccia, solo una lingua che deborda dalla valle di Cogne. Il colle di Noaschetta, segnato come di accesso banale su ghiacciaio su libri di appena 10-15 anni fa, è impraticabile. Una parete in sfacelo ne impedisce l'accesso. Il primo tratto del canalone è estenuante e pericoloso. Pietre instabili di tutte le dimensioni, pendenza 35°, si muove tutto ad ogni passo. A metà Alex e Beppe si stufano, risalgono direttamente la parete sud della Testa di Valnontey. A me non ispira, proseguo nel canalone che si appiattisce e dove le pietre diventano più stabili. Della cresta nevosa ne rimane ben poco, fino all'anticima riusciamo ad evitarla. Un ultimo tratto di neve e siamo sulla vetta, finalmente. Che spettacolo. Tutta la Valnontey sotto di noi, il Ghiacciaio della Tribolazione, il Gran Paradiso con ciò che resta della parete est. Che desolazione sti ghiacciai. Da quando sognavo di essere quassù, quasi 17 anni fa, è cambiato tutto. Le montagne sono irriconoscibili. E questa gita mi ha portato anche a riflettere. Possiamo buttare tutte le relazioni che hanno più di 5 anni. La montagna è cambiata, al posto dei ghiacciai rimangono in molti posti solo schifose pietraie. Comunque il dente me lo son tolto. Anche di questa gita serberò ricordi, emozioni e fatiche indimenticabili. Fa parte dell'andare in montagna. La Testa della Tribolazione: un nome, un programma.... »
Il brano precedente è opera di Roberto Maruzzo (del quale consiglio vivamente il bellissimo sito), membro della Società Meteorologica Italiana, e descrive compiutamente il senso di sconcerto che i fruitori abituali della montagna d’alta quota provano ormai da diversi anni. I cammini consueti di salita risultano sempre più difficili, pericolosi, penosi, di fatto spesso impercorribili, e la situazione si fa di anno in anno peggiore. Chiedersi il perché è doveroso, ma è altrettanto importante cercare soluzioni per ovviarvi almeno in parte o, in alternativa, adattarsi ai cambiamenti in atto.
La situazione mostrata è conseguenza, come tutti sanno o dovrebbero conoscere, dei cambiamenti climatici. La quantità di gas serra, di per sé necessari al mantenimento di una temperatura su questo pianeta ideale per la vita, sta aumentando in concentrazione, producendo un surriscaldamento del pianeta, che dalla Rivoluzione Industriale in poi non ha conosciuto soste, vedi figura 1, dalla quale si evince che la concentrazione di biossido di carbonio sta crescendo esponenzialmente.
La situazione mostrata è conseguenza, come tutti sanno o dovrebbero conoscere, dei cambiamenti climatici. La quantità di gas serra, di per sé necessari al mantenimento di una temperatura su questo pianeta ideale per la vita, sta aumentando in concentrazione, producendo un surriscaldamento del pianeta, che dalla Rivoluzione Industriale in poi non ha conosciuto soste, vedi figura 1, dalla quale si evince che la concentrazione di biossido di carbonio sta crescendo esponenzialmente.
Fig. 1
Quel che spesso viene taciuto o minimizzato è che la causa scatenante dell’aumento di tali gas è imputabile, oltre che parzialmente a cause naturali, anche all’uomo e alle sue attività; la figura 2, tratta da questo link, fornisce una spiegazione attraverso il confronto fra temperatura osservata e temperatura calcolata dai modelli climatici, tenendo o meno in conto gli effetti della presenza dell’uomo.
Fig. 2
È altresì noto che la concentrazione dei gas serra, come ad esempio il già citato biossido di carbonio e il metano, varia di pari passo con la temperatura del nostro pianeta, vedi fig. 3; se si osserva con attenzione il grafico, tratto dallo studio dei carotaggi effettuati nella crosta di ghiaccio dell’Antartide, stazione di Vostok, si vede che il dato del 2002 risulta addirittura fuori scala rispetto a quelli dei 400.000 anni precedenti (e dai risultati degli ultimi studi si può affermare che la concentrazione di gas serra nell’atmosfera non è mai stata così alta negli ultimi 6-700.000 anni).
Fig. 3
Nessuno può dire esattamente quali saranno gli effetti finali; stiamo effettuando il più grandioso esperimento mai condotto su questo pianeta, senza alcuna precauzione, ritegno e logica, e ben difficilmente le conseguenze saranno piacevoli. Ormai solo chi ha un interesse personale in ballo, o è disinformato, può negare l’evidenza scientifica del riscaldamento globale e delle colpe del genere umano nello stesso. Una delle prove che ci portano a considerarci responsabili dei cambiamenti in atto è strettamente legata al consumo di energia proveniente da fonti fossili. Senza entrare nei dettagli delle reazioni chimiche che avvengono nella combustione dei derivati petroliferi o del gas naturale, è noto che uno dei prodotti è proprio la famigerata CO2.
Fondamentale per le nostre aspettative future è anche il raggiungimento del “picco del petrolio”, ossia del momento in cui la produzione di petrolio raggiunge il valore massimo per poi declinare inesorabilmente. È di pochi giorni fa l’annuncio che la IEA (International Energy Agency) ha ammesso il crollo della produzione per i prossimi anni; una notizia che fino a meno di un mese fa veniva definita “catastrofista” nella peggiore accezione del termine, ma che ad esempio ASPO affermava da molti anni.
Una volta afferrato il senso dei fenomeni coinvolti, qui condensati al massimo, com’è possibile agire per contrastarli o almeno per attenuarli? Senza entrare nei dettagli dei complicati meccanismi di azione e di retroazione tra atmosfera, oceani e biosfera, cosa può fare in concreto chiunque di noi, frequentatori più o meno assidui delle cime? Esistono diversi comportamenti “virtuosi” che possono essere messi in campo; qui mi limiterò ad un paio, connessi all’attività della sezione e di ogni singolo socio, che costano poco ma possono avere effetti non trascurabili.
Consideriamo un generico bollettino, come ad esempio quello del CAI di Giaveno su cui ho riportato originalmente questo articolo; ho pesato quello dell’anno scorso, ottenendo una massa di 296,4 g. Poiché nelle stime che propongo non è necessaria una precisione al decimo di grammo, possiamo supporre senza commettere gravi errori che sia di 300 g. Ora, poiché ogni anno vengono stampate 1000 copie del bollettino, ciò porta alla necessità di disporre di 300 kg di carta (nei calcoli che seguono non si considerano dal punto di vista energetico e di produzione di gas serra le operazioni di stampa, rilegatura, distribuzione, etc, che ovviamente peggiorano ulteriormente il bilancio). Per ottenerla occorrono 3450 MJ di energia primaria, 312 kWh di energia elettrica e vengono contemporaneamente prodotti 102 kg di CO2 (dati ricavati da: “Sustainability Report 2007 – Confederation of European Paper Industries”); tale quantità di energia primaria viene di solito ottenuta bruciando combustibili fossili, ad esempio 82 kg circa di petrolio. Immaginiamo ora che ogni socio, all’atto del rinnovo dell’iscrizione al CAI, si rechi in sede con la propria penna hardware, sulla quale viene scaricato il bollettino in forma elettronica: consumo di energia trascurabile, nessun rilascio di CO2, e la possibilità di avere foto a colori in alta definizione senza aggravio alcuno. Potrà sembrare poca cosa, ma se tale comportamento fosse esteso a tutte le sezioni CAI italiane che sono solite pubblicare un bollettino, e così pure alla rivista del CAI, l’effetto complessivo diventerebbe tutt’altro che marginale, oltre a rappresentare un atto assennato e responsabile, in linea con le finalità dell’associazione.
Un altro esempio che ci tocca direttamente è quello del consumo di benzina o gasolio, e delle relative emissioni, nei viaggi necessari per raggiungere le agognate mete alpine. Premesso che l’uso dei mezzi pubblici è fortemente consigliato in ogni caso, e che l’abitudine di alternare a mete lontane altre vicino a casa è senz’altro meritoria, come si potrebbe ridurre il proprio impatto, pur mantenendo lo stesso “standard” di gite, facendo comunque uso di mezzi proprii ? Anche qui un esempio numerico può aiutare a capire qual è l’influenza di un’attività apparentemente ecologica come l’andar per monti. Consideriamo una combriccola di quattro persone che compia 24 gite all’anno di un solo giorno (circa una ogni due settimane), e che ogni volta percorra 200 km (tragitto di andata e ritorno; è all’incirca la distanza tra Giaveno e l’alta Val di Susa). Possiamo ipotizzare che un’auto media consumi 1 l ogni 15 km, emettendo al contempo in atmosfera 180 g di CO2 per ogni kilometro; un semplice calcolo ci permette di trovare un totale di 320 l di combustibile consumato e 864 kg di CO2 emessa ogni anno. Se ora le quattro persone compiono le stesse 24 gite in otto fine settimana “allungati”, dal venerdì alla domenica – nel momento in cui scrivo, 22 novembre 2008, le previsioni sono purtroppo per week-end lavorativi ben più consistenti, stante l’attuale congiuntura -, quindi con soli otto viaggi, il totale è rispettivamente di 107 l di benzina o gasolio e 288 kg di CO2 prodotti, pari ovviamente a un terzo dei valori precedenti. È superfluo sottolineare il fatto che se ogni alpinista viaggia sulla propria auto per raggiungere mete differenti le conseguenze sono ancor più onerose, in termini di combustibili bruciati e di emissioni in atmosfera. Il trekking, da questo punto di vista, è con ogni probabilità la forma meno energivora e inquinante di frequentazione della montagna; le giornate che impegniamo a camminare incidono solamente per quel che riguarda gli approvvigionamenti dei rifugi. È mia convinzione che il ritorno al viaggio da mero, rapido e per tale motivo spesso insensato raggiungimento della meta, a scoperta e conoscenza del percorso, dei luoghi e delle persone che ci vivono e lavorano, possa diventare la futura pratica della montagna, forse l’unica. Un modo di viverla, dunque, molto più vicina a quella di esploratori e alpinisti del XIX secolo che a quello degli ultimi decenni.
Chiaramente ognuno, nel suo agire quotidiano, può diminuire considerevolmente la propria impronta sul pianeta, sia in termini di sfruttamento delle risorse sia per quanto riguarda l’inquinamento che produce, e ciascuno di noi può trovare molti sistemi per conseguire tale risultato; i due esposti prima sono i primi che mi sono venuti in mente, e non sono certo esaustivi della casistica in materia. Un altro importante modo per prendere coscienza dei problemi legati alla nostra presenza sul pianeta è l’informazione; poiché nel nostro disgraziato Paese questa è mediamente di infima qualità, occorre sapere dove e a chi rivolgersi. I cinque link riportati al fondo dell’articolo e il libro consigliato – uno solo tra i tanti; potrà essere un’ottima strenna post-natalizia ed è fresco di stampa, dunque aggiornato nei dati esposti – costituiscono un’eccellente base di partenza.
L’umanità è di fronte a un bivio: proseguire dissennatamente sulla strada dei consumi senza fine, ma non più per molto, oppure tornare a una vita legata alla natura e ai suoi tempi, attenta alla limitatezza delle risorse e al delicato equilibrio dell’ambiente in cui viviamo. Gli aspetti fondamentali necessari per comprendere come sia necessaria la transizione energetica, che è anche un cambiamento epocale di mentalità, si possono sintetizzare come segue:
1. le risorse della Terra sono limitate, dunque i consumi non possono crescere all'infinito
2. le risorse devono essere distribuite più equamente fra tutti gli abitanti della Terra
3. l’unica risorsa energetica veramente inesauribile, almeno su tempi dell’ordine dei miliardi di anni, gratuita, equamente distribuita e in grado di supplire alle imminenti carenze, è il sole, che ogni ora ci fornisce con un’energia pari a quella consumata dall’umanità in un anno.
Se le prime due sono “verità scomode”, e che buona parte delle persone ha difficoltà a metabolizzare, la terza è la via della speranza, che non va mai disgiunta dalla sobrietà. Qualità che, non dimentichiamolo, è sempre stata patrimonio di chi ha vissuto e vive in montagna.
http://www.aspoitalia.it/ e relativo blog: http://aspoitalia.blogspot.com/
http://www.nimbus.it/
http://petrolio.blogosfere.it/
http://crisis.blogosfere.it/
http://www.theoildrum.com/ (in inglese)
Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani, “Energia per l’astronave Terra”, Zanichelli Editore, Bologna, Ottobre 2008
Fondamentale per le nostre aspettative future è anche il raggiungimento del “picco del petrolio”, ossia del momento in cui la produzione di petrolio raggiunge il valore massimo per poi declinare inesorabilmente. È di pochi giorni fa l’annuncio che la IEA (International Energy Agency) ha ammesso il crollo della produzione per i prossimi anni; una notizia che fino a meno di un mese fa veniva definita “catastrofista” nella peggiore accezione del termine, ma che ad esempio ASPO affermava da molti anni.
Una volta afferrato il senso dei fenomeni coinvolti, qui condensati al massimo, com’è possibile agire per contrastarli o almeno per attenuarli? Senza entrare nei dettagli dei complicati meccanismi di azione e di retroazione tra atmosfera, oceani e biosfera, cosa può fare in concreto chiunque di noi, frequentatori più o meno assidui delle cime? Esistono diversi comportamenti “virtuosi” che possono essere messi in campo; qui mi limiterò ad un paio, connessi all’attività della sezione e di ogni singolo socio, che costano poco ma possono avere effetti non trascurabili.
Consideriamo un generico bollettino, come ad esempio quello del CAI di Giaveno su cui ho riportato originalmente questo articolo; ho pesato quello dell’anno scorso, ottenendo una massa di 296,4 g. Poiché nelle stime che propongo non è necessaria una precisione al decimo di grammo, possiamo supporre senza commettere gravi errori che sia di 300 g. Ora, poiché ogni anno vengono stampate 1000 copie del bollettino, ciò porta alla necessità di disporre di 300 kg di carta (nei calcoli che seguono non si considerano dal punto di vista energetico e di produzione di gas serra le operazioni di stampa, rilegatura, distribuzione, etc, che ovviamente peggiorano ulteriormente il bilancio). Per ottenerla occorrono 3450 MJ di energia primaria, 312 kWh di energia elettrica e vengono contemporaneamente prodotti 102 kg di CO2 (dati ricavati da: “Sustainability Report 2007 – Confederation of European Paper Industries”); tale quantità di energia primaria viene di solito ottenuta bruciando combustibili fossili, ad esempio 82 kg circa di petrolio. Immaginiamo ora che ogni socio, all’atto del rinnovo dell’iscrizione al CAI, si rechi in sede con la propria penna hardware, sulla quale viene scaricato il bollettino in forma elettronica: consumo di energia trascurabile, nessun rilascio di CO2, e la possibilità di avere foto a colori in alta definizione senza aggravio alcuno. Potrà sembrare poca cosa, ma se tale comportamento fosse esteso a tutte le sezioni CAI italiane che sono solite pubblicare un bollettino, e così pure alla rivista del CAI, l’effetto complessivo diventerebbe tutt’altro che marginale, oltre a rappresentare un atto assennato e responsabile, in linea con le finalità dell’associazione.
Un altro esempio che ci tocca direttamente è quello del consumo di benzina o gasolio, e delle relative emissioni, nei viaggi necessari per raggiungere le agognate mete alpine. Premesso che l’uso dei mezzi pubblici è fortemente consigliato in ogni caso, e che l’abitudine di alternare a mete lontane altre vicino a casa è senz’altro meritoria, come si potrebbe ridurre il proprio impatto, pur mantenendo lo stesso “standard” di gite, facendo comunque uso di mezzi proprii ? Anche qui un esempio numerico può aiutare a capire qual è l’influenza di un’attività apparentemente ecologica come l’andar per monti. Consideriamo una combriccola di quattro persone che compia 24 gite all’anno di un solo giorno (circa una ogni due settimane), e che ogni volta percorra 200 km (tragitto di andata e ritorno; è all’incirca la distanza tra Giaveno e l’alta Val di Susa). Possiamo ipotizzare che un’auto media consumi 1 l ogni 15 km, emettendo al contempo in atmosfera 180 g di CO2 per ogni kilometro; un semplice calcolo ci permette di trovare un totale di 320 l di combustibile consumato e 864 kg di CO2 emessa ogni anno. Se ora le quattro persone compiono le stesse 24 gite in otto fine settimana “allungati”, dal venerdì alla domenica – nel momento in cui scrivo, 22 novembre 2008, le previsioni sono purtroppo per week-end lavorativi ben più consistenti, stante l’attuale congiuntura -, quindi con soli otto viaggi, il totale è rispettivamente di 107 l di benzina o gasolio e 288 kg di CO2 prodotti, pari ovviamente a un terzo dei valori precedenti. È superfluo sottolineare il fatto che se ogni alpinista viaggia sulla propria auto per raggiungere mete differenti le conseguenze sono ancor più onerose, in termini di combustibili bruciati e di emissioni in atmosfera. Il trekking, da questo punto di vista, è con ogni probabilità la forma meno energivora e inquinante di frequentazione della montagna; le giornate che impegniamo a camminare incidono solamente per quel che riguarda gli approvvigionamenti dei rifugi. È mia convinzione che il ritorno al viaggio da mero, rapido e per tale motivo spesso insensato raggiungimento della meta, a scoperta e conoscenza del percorso, dei luoghi e delle persone che ci vivono e lavorano, possa diventare la futura pratica della montagna, forse l’unica. Un modo di viverla, dunque, molto più vicina a quella di esploratori e alpinisti del XIX secolo che a quello degli ultimi decenni.
Chiaramente ognuno, nel suo agire quotidiano, può diminuire considerevolmente la propria impronta sul pianeta, sia in termini di sfruttamento delle risorse sia per quanto riguarda l’inquinamento che produce, e ciascuno di noi può trovare molti sistemi per conseguire tale risultato; i due esposti prima sono i primi che mi sono venuti in mente, e non sono certo esaustivi della casistica in materia. Un altro importante modo per prendere coscienza dei problemi legati alla nostra presenza sul pianeta è l’informazione; poiché nel nostro disgraziato Paese questa è mediamente di infima qualità, occorre sapere dove e a chi rivolgersi. I cinque link riportati al fondo dell’articolo e il libro consigliato – uno solo tra i tanti; potrà essere un’ottima strenna post-natalizia ed è fresco di stampa, dunque aggiornato nei dati esposti – costituiscono un’eccellente base di partenza.
L’umanità è di fronte a un bivio: proseguire dissennatamente sulla strada dei consumi senza fine, ma non più per molto, oppure tornare a una vita legata alla natura e ai suoi tempi, attenta alla limitatezza delle risorse e al delicato equilibrio dell’ambiente in cui viviamo. Gli aspetti fondamentali necessari per comprendere come sia necessaria la transizione energetica, che è anche un cambiamento epocale di mentalità, si possono sintetizzare come segue:
1. le risorse della Terra sono limitate, dunque i consumi non possono crescere all'infinito
2. le risorse devono essere distribuite più equamente fra tutti gli abitanti della Terra
3. l’unica risorsa energetica veramente inesauribile, almeno su tempi dell’ordine dei miliardi di anni, gratuita, equamente distribuita e in grado di supplire alle imminenti carenze, è il sole, che ogni ora ci fornisce con un’energia pari a quella consumata dall’umanità in un anno.
Se le prime due sono “verità scomode”, e che buona parte delle persone ha difficoltà a metabolizzare, la terza è la via della speranza, che non va mai disgiunta dalla sobrietà. Qualità che, non dimentichiamolo, è sempre stata patrimonio di chi ha vissuto e vive in montagna.
http://www.aspoitalia.it/ e relativo blog: http://aspoitalia.blogspot.com/
http://www.nimbus.it/
http://petrolio.blogosfere.it/
http://crisis.blogosfere.it/
http://www.theoildrum.com/ (in inglese)
Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani, “Energia per l’astronave Terra”, Zanichelli Editore, Bologna, Ottobre 2008
L’autore desidera ringraziare ASPO-Italia, Associazione per lo studio del picco del petrolio, nella persona del Prof. Ugo Bardi, presidente della stessa, e il dott. Luca Mercalli, presidente della società Meteorologica Italiana, per i consigli, per l’aiuto e per avermi reso consapevole in prima persona dei problemi che ho tentato di riassumere in questo articolo. Ringrazio altresì Roberto Maruzzo, che ha gentilmente concesso di riportare parte dell’articolo del suo sito concernente la salita alla Testa della Tribolazione, e Leonardo Maffia, che ha cortesemente fornito il report della Confederation of European Paper Industries