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Arroganza di autodidatta ?

13 dicembre 2009 0 commenti
created by Mirco Rossi

 


Non sforzatevi di cercare. In rete, digitando il mio nome, oltre il recentissimo libro troverete ben poco altro: un semplice lavoro a carattere divulgativo-scolastico e poche carabattole. Nessun titolo accademico. Nessuna ricerca. Nessuna pubblicazione. Nessun articolo su riviste quotate. Tantomeno referenze o citazioni importanti.

Quello che so sui temi ambientali ed energetici l’ho appreso con un lavoro certosino di decenni, cercando in molte direzioni, leggendo tutto ciò che riuscivo a capire e facendomi spiegare, quando era possibile, ciò la mia ignoranza mi impediva di comprendere.

L’unica qualità attribuibile al risultato complessivo deriva dall’aver, costantemente e pervicacemente, incrociato dati, informazioni e concetti sottoponendoli a una strettissima verifica logica e razionale e averne tradotto il significato ultimo in un linguaggio comprensibile a quasi tutti.

Potei così, ben prima di far parte di Aspo e consolidare le mie convinzioni con gli amici delle liste, individuare - per esempio - la debolezza delle indicazioni con cui Al Gore concludeva il suo (dal solo punto di vista dall’analisi) pregevole “An Inconvenient Truth”, l’inaccettabile esagerazione operata da Rifkin con il suo “Economia all’Idrogeno”, l’inconsistenza delle prospettive petrolifere disegnate nei suoi libri da Maugeri, l’impercorribilità delle strategie nucleari care a Battaglia.

Tuttavia non è affatto escluso che in quanto scrivo di seguito sia possibile individuare qualche elemento di arroganza. Francamente mi auguro che sia così, perché sarebbe la dimostrazione del mio errore.



Sono i giorni di Copenaghen e approfitto per leggere sulla stampa quotidiana sopratutto interviste e interventi di ricercatori, scienziati, esperti, nella continua ricerca di informazioni nuove, dati freschi, analisi aggiornate. Sperando di trovare elementi sempre più forti, in grado di spingere i responsabili politici a accordi più “alti”, a percorsi più impegnativi, a decisioni più cogenti.

A volte però lo sconforto mi assale e mi deprime.

Non tanto per le furbate di chi, come la Cina s’impegna a ridurre la quantità di CO2 per unità di PIL, ma per le idee che uomini autorevoli come Paul Krugman, nobel per l’economia nel 2008, o Bjorn Lomborg, economista che Time ha inserito tra le cento personalità più influenti del mondo, diffondono a piene mani con grande tranquillità.

A partire da considerazioni diverse i pensieri di entrambe queste personalità, prese ad esempio, puntano a un costante aumento della produzione, degli investimenti, degli utili delle imprese. Chiedono maggiore efficienza e risparmio in campo energetico, incentivi alla produzione delle energie rinnovabili e alla ricerca ma il loro approccio sottende inevitabilmente la crescita dell’economia. Krugman scrive esplicitamente “… i limiti alle emissioni rallenterebbero la crescita annuale dell’economia per i prossimi 40 anni di circa un ventesimo di punto percentuale: dal 2,37% passerebbe al 2,32%” e più avanti “… l’efficienza energetica … potrebbe applicarsi a molti settori dell’economia, col risultato che la legge a favore del cambiamento del clima potrebbe verosimilmente comportare un maggiore volume degli investimenti complessivi”.

Sono impostazioni che trascurano del tutto i limiti delle risorse, la crescente indisponibilità di combustibili, di energia, di minerali, di metalli, di acqua, di terreno.

Assumono come obiettivo la crescita, ben oltre i potenziali pericoli legati al paradosso di Jevons, pronto a dimostrare come, senza un forte controllo politico e sociale, senza il consapevole coinvolgimento dei diversi attori della produzione e del consumo, ogni margine recuperato con le “buone pratiche” individuali e industriali può semplicemente trasformarsi in un aumento della produzione complessiva.

In tal modo negano l’esistenza stessa dell’insanabile contraddizione tra la continua crescita complessiva dei consumi e la crescente scarsità delle risorse.

Purtroppo, come ho notato altre volte, l’approccio esclusivamente ambientale lascia in qualche misura aperta la porta a queste pericolose ambiguità. Si può discuterne con grande competenza, correttezza, onestà intellettuale e con le migliori intenzioni, come molti meritoriamente fanno, ma isolare così, in primo piano, il clima e il riscaldamento globale si presta, almeno in apparenza, alle fesserie dei negazionisti, ma soprattutto a escamotage e teorizzazioni che nascondono decisioni di pura facciata.

La Cina (e penso altri, forse in parte anche gli USA) contano sugli ampi spazi esistenti per migliorare i loro obsoleti e altamente energivori apparati produttivi e di trasporto, riducendo così le emissioni per unità di prodotto ma non certo quelle complessive: le uniche che contino dal punto di vista climatico. Economisti di vaglia possono fare una bellissima figura sostenendo che la ricerca, le tecnologie, l’efficienza, il risparmio e le energie rinnovabili possono portarci fuori dal tunnel di questa crisi e permettere ai sistemi economici di perseguire (almeno per un po’), come in passato, la crescita produttiva, il profitto e lo sviluppo, senza più sensi di colpa per la distruzione dell’ambiente e l’incremento del riscaldamento globale.

Se così sarà, e ci sono alcune premesse in tal senso, non solo Copenaghen sarebbe inutile ma in breve diverrebbe un evento dannoso, in grado di minare la poca residua fiducia delle popolazioni negli esperti e nei politici delegati allo scopo alto di disegnare un percorso credibile per affrontare, prima che sia troppo tardi, i tempi feroci che si stanno approssimando.