La battaglia perduta contro il ritardo dei pagamenti
Nello scorso mese di Febbraio la Commissione Europea e la CGIA di Mestre hanno riportato l’attenzione sul problema, che sembrava sparito da anni dall’attenzione dei media, dei ritardi di pagamento nei rapporti commerciali fra le micro, piccole e medie imprese (le cosiddette PMI, individuate dalla Raccomandazione CE n° 361 del 2003) e le aziende di dimensioni maggiori. Per ritardo di pagamento si intende il lasso di tempo che intercorre fra la data di scadenza della dilazione di pagamento contrattualmente stabilita e quella dell’effettivo pagamento di quanto dovuto.
In realtà il fenomeno riguarda anche i pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni alle imprese (non solo alle PMI: le stime di questi crediti verso la PA variano da 40 a 60 miliardi Euro, di cui da 25 a 33 solo verso la sanità pubblica. L’ampiezza delle stime è un indice anche della scarsa capacità di tenere sotto controllo i centri di spesa pubblica nel nostro paese), ma, data la sua complessità, di esso ci occuperemo solo nei tratti essenziali in questo articolo che analizza soprattutto i tempi di pagamento nei rapporti contrattuali fra le imprese. Ovviamente, non è un caso che il problema dei ritardi di pagamento si ripresenti drammaticamente in un periodo di recessione economica, dato che questa spinge le imprese con maggior potere contrattuale (ma anche le Pubbliche Amministrazioni) a migliorare la propria posizione finanziaria attraverso l’allungamento dei tempi di pagamento. Questa strategia si ripercuote sull’equilibrio economico – finanziario delle PMI creditrici e sulla loro capacità competitiva, determinandone, alle volte, anche la chiusura od il fallimento.
La Commissione Europea ha stimato i costi annui dei ritardi di pagamento (per gli interessi attivi non incassati) a 10,8 miliardi di Euro nel 2007, di cui poco più di uno attribuibile all’Italia (data l’incidenza del PIL italiano sul PIL comunitario). La CGIA di Mestre stima, invece, in 10 miliardi di Euro il danno che i ritardi di pagamento hanno arrecato nel 2008 alle PMI italiane (per i maggiori interessi passivi pagati e per gli oneri sostenuti per il recupero dei crediti: come si vede la stima della CGIA non è incompatibile con quella della Commissione Europea). Il 35 – 40% di questo danno dovrebbe essere quello causato dai ritardi di pagamento delle PA. Questi dati saranno sicuramente peggiorati nel 2009 col pieno dispiegarsi della recessione economica. La CGIA di Mestre, inoltre, ha rilevato nel 2008 che in Italia i ritardi di pagamento delle grandi imprese si verificano con frequenza e durata doppie rispetto a quelli attribuibili alle PMI, dato fortemente peggiorato nell’ultimo decennio visto che il ritardo medio di pagamento delle grandi imprese nel 1999 era di 19 giorni contro i 17 giorni di quello di tutte le imprese.
Nonostante quello dei ritardi di pagamento nei rapporti fra imprese sia un fenomeno molto importante, esteso e con conseguenze economiche enormi i dati disponibili su di esso sono pochi e ricevono un’attenzione dei media quasi inesistente e del tutto limitata ai pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni. Anche le associazioni delle imprese non vi prestano attenzione, dato che spesso significherebbe denunciare gli abusi di potere contrattuale dei loro associati più importanti ai danni di quelli meno importanti. Invece, prendersela con la PA mette tutti d’accordo: che essa sia il pagatore più lento sulla piazza lo dimostra il fatto che, nel 2008, i suoi tempi di pagamento medi contrattuali sono stati di 95 giorni e quelli effettivi di 135, con un ritardo medio su ogni pagamento di 40 giorni, ben superiore a quello dei pagamenti fra imprese. Questo quando i tempi di pagamento medi effettivi della PA sono in Germania di 40 giorni, in Francia di 71 ed in Gran Bretagna di 48.
Segnaliamo infine che la Commissione Europea ha in progetto l’emanazione di un atto normativo che preveda che gli Enti Pubblici debbano pagare di norma entro 30 giorni, pena la corresponsione di un indennizzo forfetario del 5% più gli interessi di mora, ma con la possibilità di accordi diversi tra le parti, il che ci fa agevolmente prevedere che questa futura norma sarà poco o per nulla applicata in concreto.
Non è un caso, quindi, che sia stata un’associazione di piccole imprese, artigiane e non, come la CGIA di Mestre a risollevare il problema dei ritardi di pagamento nei rapporti fra le imprese dopo anni di oblio.
Eppure, nel 2000, l’Unione Europea aveva emanato l’importante Direttiva n° 35 relativa alla “lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, recepita nell’ordinamento italiano per mezzo del Decreto Legislativo n° 231 del 2002. Quindi, dal 2002 vi sono delle norme nell’ordinamento italiano che tutelano soprattutto le PMI contro i ritardi di pagamento da parte di altre imprese ed anche di Pubbliche Amministrazioni. Ed è una tutela basata su meccanismi abbastanza dissuasivi, almeno potenzialmente. A questo punto il problema è: le PMI italiane se ne servono?
La risposta, purtroppo, è del tutto negativa: il Dlgs 231/2002 è stato utilizzato pochissime volte dai quattro milioni e più di PMI italiane, come si può notare facendo una ricerca su qualsiasi repertorio giurisprudenziale. Come vedremo fra poco, dal 1999 ad oggi i ritardi di pagamento fra imprese sono addirittura aumentati: la “lotta contro i ritardi di pagamento” promossa dalla Direttiva CE 35/2000, in Italia, è stata del tutto perduta, anche perché nessuno ha voluto combatterla. Prima del 2002 si poteva dire che le PMI non avevano norme specifiche a loro tutela, ma da quell’anno in poi anche questa scusa è venuta meno.
Per dimostrare quanto stiamo dicendo confronteremo i dati della CGIA di Mestre (forniti da Intrum Justitia, European Payment Index 2008) relativi al 2008 con quelli della ricerca “Condizioni e ritardi di pagamento in Italia e in Europa nel 1999” effettuata da Dun & Bradstreet, SDA Bocconi e Università Cattolica di Milano dieci anni prima. Nel 1999 la dilazione di pagamento media prevista contrattualmente fra le imprese era, in Italia, di 60 – 90 giorni (contro i 30 – 60 di Germania, Gran Bretagna, Olanda e Paesi Scandinavi e i 60 – 90 di Spagna, Francia, Belgio e Portogallo), con un ritardo di pagamento medio di 17 giorni che era stabile da diversi anni (contro gli 11 giorni della Germania, i 15 della Francia, i 16 della Gran Bretagna e del Belgio e i 17 dell’Olanda). Inoltre, le differenze fra le diverse regioni italiane erano e sono rimaste minime.
Nel 2008 la dilazione media contrattualmente prevista per i pagamenti fra imprese era in Italia di 68 giorni (quindi, presumibilmente, stabile, dato che la dilazione a 60 giorni rappresentava nel 1999 più dei tre quinti dei casi nella classe di dilazioni 60 – 90 giorni), ma il ritardo medio nei pagamenti era aumentato a 20 giorni (+ 18% del decennio considerato). In Germania, la dilazione media era di 30 giorni ed il ritardo medio di 6 giorni (- 45% nello stesso periodo), in Francia di 50 e 16 giorni, in Gran Bretagna di 33 e 18 giorni. Nei paesi scandinavi la dilazione media era di 32 giorni. In altre parole, una impresa italiana viene pagata, in media, dopo 88 giorni dall’emissione della fattura, una tedesca dopo 36 giorni, una francese dopo 65 giorni ed una inglese dopo 51 giorni. Inutile dire che quello italiano è un primato poco invidiabile fra i principali paesi dell’Unione Europea.
Un ultimo dato, quasi una curiosità, riguarda l’incidenza percentuale del pagamento “pronta cassa” in Italia: esso scende dal 9,3% dei casi nel 1999 al 7% nel 2008 (- 25%). Insomma, quasi una specie in via di estinzione. Possiamo quindi concludere affermando che, mentre in Italia i ritardi nei pagamenti fra le imprese sono aumentati (quindi peggiorati) e le dilazioni contrattualmente previste sono rimaste stabili, anche perché le PMI italiane non hanno quasi mai utilizzato le tutele giuridiche previste dalla Direttiva 35/2000 e dal Dlgs 231/2002 di attuazione, negli altri paesi europei, grazie anche a questi strumenti, sono diminuiti sia le dilazioni che i ritardi di pagamento (Germania, anche grazie all’organizzazione molto efficiente del suo apparato giudiziario) od, almeno, la sola durata delle dilazioni (Francia, Gran Bretagna, Paesi Scandinavi).