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IDEOLOGIE DEL SECOLO PASSATO: IL “RINASCIMENTO NUCLEARE” SERVE ALL’ITALIA?

24 marzo 2009 0 commenti

Ma il nucleare serve davvero alle aziende italiane e ai cittadini per avere energia sicura? Servirà a pagare meno l’energia? Oppure sarà un grande debito che qualcuno vorrebbe contrarre nel nome di tutti gli italiani, inclusi anche quelli che nasceranno tra vent’anni?
Il nucleare non è un impianto, è una filiera industriale, molto complessa dove l’errore non è tollerato, che necessita di un combustibile, l‘uranio, esauribile come il petrolio e il carbone che genera rifiuti non semplici da gestire.
Il nucleare ha bisogno di tantissima acqua di raffreddamento per garantire il funzionamento e una volta accesa una centrale deve funzionare, escluse le soste per guasto o manutenzione, 24 ore al giorno 365 giorni l’anno per trent’anni.
Uno dei motivi per cui siamo “costretti” ad importare energia elettronucleare dalla Francia, non è per una nostra carenza energetica ma si basa su una esigenza dei transalpini. Non potendo accendere e spegnere a piacere i poco flessibili impianti nucleari di terza generazione i francesi, obbligati a farli funzionare a ciclo continuo, debbono durante le ore notturne, quando i consumi domestici calano, smaltire comunque questa elettricità e lo fanno cedendola a prezzi interessanti ai paesi confinanti.
In Italia i grandi produttori di elettricità da fonti fossili, olio e gas, possono spengere di notte, nelle ore meno remunerative i propri impianti e far arrivare energia elettrica a buon mercato dalla Francia. Spesso durante il giorno sono le centrali a turbo gas italiane a fornire di elettricità la Francia nelle ore di punta per sopperire alla domanda di energia elettrica.
La potenza elettrica installata in Italia è di 94 GW a fronte di una richiesta di picco di 57 GW per poche ore l’anno.
Secondo il Piano strategico della AEEG 2007-2009, nell’allegato A, l’offerta di elettricità in Italia è significativamente superiore alla domanda, grazie ai numerosi impianti entrati in esercizio negli ultimi anni, tendenza che peraltro non è destinata a fermarsi: è infatti prevista nei prossimi anni l’entrata in funzionedi nuova generazione per 7000 MW circa entro il 2009, garantendo quindi una costante e soddisfacente copertura delle punte e rendendo teoricamente possibile anche l’esportazione di energia in maniera non episodica (compatibilmente con la necessità di garantire la sicurezza del Paese in termini di approvvigionamento di gas).

Il nucleare è un sistema di produzione di energia che necessita di un sistema di distribuzione elettrica rigido e centralizzato, che va in controtendenza con gli investimenti europei (e italiani) sulle reti elettriche (smart grid) che tenderanno verso il futuro, rappresentato dalla micro co-tri generazione distribuita, più flessibile, adeguata alle esigenze future e più sostenibile economicamente.
Il riferimento per il costo di capitale per il nucleare è di circa 2.500 dollari per kW dipotenza, il carbone di nuova generazione è valutato a circa 1.600 dollari al kW , i nuovi cicli combinati a gas si attestano attorno agli 900 dollari a kW. L’eolico on-shore è stimato attorno ai 1.300 dollari kW.

Altra considerazione da fare riguarda la produzione di energia con l’atomo. Nel 2006 il nucleare ha prodotto nel mondo meno elettricità dell’idroelettrico; 2.793 miliardi di kWh (TWh) pari al 14,8% della produzione elettrica globale sono stati prodotti con il nucleare, mentre le centrali idroelettriche hanno prodotto invece 3.121 TWh (cioè circa il 16% della produzione elettrica globale). Una convenzione statistica amplifica il ruolo del nucleare, infatti In termini di energia primaria totale, la quota coperta dal nucleare è stimata nel 6,2% contro il 2,2% dell’idroelettrico.
Questo arcano numerico deriva dal fatto che il nucleare produce energia termica, 2/3 della quale scaricati nell’ambiente e non utilizzata. Nel mondo solo un numero ridottissimo di impianti recupera una parte del calore di scarto, mentre di fatto, i reattori di potenza producono solo elettricità. Quindi il peso maggiore (triplicato artificialmente) del nucleare non ha effetti sulla energia elettrica realmente prodotta che resta inferiore a quella fatta con l’idroelettrico.

Non essendoci stato un approfondito e serio dibattito pubblico, sono stati propagandati dei miti in base a cui gli italiani adesso vorrebbero il nucleare. A parte lo scetticismo palpabile delle imprese italiane che hanno investito nelle rinnovabili, nell’innovazione tecnologica, le piccole e medie imprese che costituiscono l’ossatura del paese, anche i cittadini, quando vengono consultati, mostrano oggi perplessità su una proposta obsoleta, anche se confezionata con parole nuove e con un decisionismo che seppur ostentato sarà complicato e costoso da attuare.
Una ricerca della società Accenture rivela che gli italiani non sono poi così favorevoli al nucleare e diventano molto scettici quando si entra nello specifico e si propongono localizzazioni vicino a casa.
Solo il 15 % degli italiani interpellati è favorevole ad ospitare una centrale atomica a meno di 40 Km da casa e la percentuale sale appena al 20 % se i chilometri di distanza diventano 170. Solo il 49% degli italiani è disposto ad avere un impianto nella propria Regione.
Deve essere per questo motivo che è stato garantito durante l’ultima tornata elettorale regionale in Sardegna che l’isola resterà denuclearizzata. Forse sempre guardando qualche sondaggio il Ministro dello Sviluppo Economico ha tranquillizzato i cittadini della provincia di Imperia sulla inadeguatezza del territorio ligure ad ospitare impianti nucleari.
Questa tecnologia del secolo scorso, la cosiddetta terza generazione +, tutta francese su cui si articola l’accordo di massima tra Italia e Francia risulterebbe un grande favore economico al paese transalpino, che dopo aver invano proposto a due paesi nord africani questa consolidata tecnologia ha trovato nell’Italia un potenziale acquirente. Ma purtroppo in assenza di un dibattito democratico nel merito il Parlamento si appresta a decidere, forse questa settimana, con le votazioni della commissione Industria del Senato sul Ddl manovra (AS. 1195). La cosa singolare è che giovedì della scorsa settimana la Commissione Bilancio del Senato ha approvato il parere sul Ddl chiedendo, tra le altre cose, la soppressione della possibilità che la Cassa depositi e prestiti partecipi, in quota minoritaria, ai consorzi per le centrali nucleari. Ma è pur vero che nessuna impresa privata è disposta ad investire in un settore così ad alto rischio come quello nucleare, senza precise garanzie e coperture da parte delle finanze pubbliche; lo Stato, in epoca di mercao libero dell’energia deve starne fuori e in tal ottica il nucleare è fuorigioco economicamente.
La liberalizzazione ha bloccato gli investimenti negli Stati Uniti in nuovi impianti nucleari da 30 anni . Nel 2005 sono stati introdotti forti incentivi (tra cui 1,8 centesimi di dollaro a kWh per i primi 6.000 MW) con l’obiettivo di sostituire le centrali che verranno chiuse per raggiunti limiti d’età. Attualmente sono stati coninvolti dei Fondi assicurativi statali per coprire le perdite per ritardi nella costruzione (500 milioni di dollari per le prime due unità e 250 milioni d dollari per altre quattro) . Al momento non risultano ancora nuovi ordinativi per centrali nucleari negli Stati Uniti.

Sempre secondo la ricerca di Accenture, solo il 37% degli italiani, ritiene che il nucleare, da solo o in combinazione con le rinnovabili, basti a ridurre la dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili, mentre il 45% degli intervistati è invece convinta che le rinnovabili da sole bastino a risolvere il problema energetico. I giovani, che hanno poco spazio nel nostro paese, scelgono con percentuali ancora più alte le rinnovabili e guardano con attenzione all’innovazione tecnologica.
Chissà che regione per regione, in vista delle tornate elettorali, come è accaduto in Sardegna e nella Provincia di Imperia, non si riesca ad aprire e chiudere per sempre un dibattito su una tecnologia in via di estinzione che non vede investimenti da 34 anni negli stati Uniti per nuovi impianti e l’unico impianto nucleare EPR (la attuale nuova generazione come quella proposta dalla Francia all’Italia) in costruzione in Finlandia ad Olkiluoto aveva una previsione di costo di 3,2 miliardi di euro. Ad oggi i costi sono saliti di 1,7 miliardi di euro.
Come riportato da Greenpeace, secondo articoli apparsi sulla stampa economica Finlandese, a causa dei ritardi il costruttore francese Areva minaccia l’azienda finlandese TVO di citarla per danni per 2 miliardi di euro perchè non ha messo in pratica un accordo per accelerare i lavori, sottoscritto nel 2008. La TVO da parte sua, accusa Areva dei ritardi e minaccia di chiedere danni per 2,4 miliardi di euro ai Francesi.
Si stima che sui consumatori di energia finlandesi graveranno circa 3,5 miliardi di euro in più del previsto.

Ma ne vale davvero la pena di imbarcarsi, e alla chetichella, senza un vero dibattito con la società civile e gli attori economici, in un periodo di gravissima crisi come questo, in una avventura nucleare, costosa, dagli esiti molto incerti?

Magari a sacrificio di investimenti fondamentali nell’efficienza energetica negli usi finali, la prima e più economica “fonte rinovabile” e nelle energie alternative eolico, fotovoltaico, fotovolataico a concentrazione, solare termico, CSP, geotermico a bassa entalpia, bio-energie, bio etanolo di seconda generazione, e altro ancora. Su molti di questi fronti le tecnologie sono italiane e vi è una speranza di fare impresa, di creare filiere industriali per ridurre davvero la dipendenza dall’estero in materia di energia. Le rinnovabili sono sostenibili, economicamente sempre più convenienti ed in grado di rispondere oggi al problema energetico, non tra 15 anni come il nucleare.

Aldo Iacomelli