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I RECC, un’ipotesi per Copenaghen: “commodity energetiche” sostenibili per una cooperazione etica allo sviluppo nel Mediterraneo e non solo…..

10 novembre 2009 0 commenti

L’accesso all’energia caratterizza fortemente il contrasto tra il Nord e il Sud del nostro pianeta. I Paesi Occidentali o “occidentalizzati” ne aumentano indiscriminatamente il consumo, adottando un sistema di vita “energivoro” che, oltretutto, evidenzia ancora di più la distanza tra questi due “mondi differenti”.
La volatilità dei mercati delle risorse energetiche, la realtà di fonti energetiche tradizionali sempre più scarse e a costi crescenti rispetto a una domanda in continuo aumento, impoverisce gradualmente le economie dei Paesi in via di sviluppo, i quali si trovano costretti a impiegare quote di risorse più elevate per soddisfare il proprio fabbisogno energetico, sottraendole ad altri usi con il rischio di creare o acuire tensioni sociali e politiche.
Per queste motivazioni è necessario puntare sull’energia come riferimento fondamentale per la politica europea di cooperazione, in particolare quando sia in grado di creare opportunità di sviluppo senza incidere in maniera pesante sugli aspetti ambientali e sociali.
In questa ottica, le fonti rinnovabili potrebbero rappresentare un importante strumento di cooperazione, per il loro legame con le disponibilità naturali del territorio e perché permettono la creazione di un sistema energetico più efficiente e sostenibile sia tecnicamente, con piccole reti anche indipendenti dalle grosse reti di distribuzione, che socialmente, innescando sistemi di sviluppo locale collegati alla disponibilità di energia simile al microcredito.
L’energia solare rappresenta in questa prospettiva, una componente fondamentale specialmente per i paesi dell’Africa settentrionale in cui il potenziale dell’irraggiamento è elevato e queste tecnologie rappresentano veramente una possibile alternativa alle fonti fossili tradizionali.
Non a caso è di pochi giorni fa la notizia che il gruppo dei membri fondatori del Desertec Industry Initiative, composto da 12 aziende e da DESERTEC Foundation, ha siglato l’istituzione di una joint venture che punta ad accelerare lo sviluppo del progetto DESERTEC, un piano di sviluppo delle fonti rinnovabili nei Paesi del Nord Africa Mediterraneo, un primo passo dell’investimento Europeo in tecnologie sostenibili in Aree depresse ad alto potenziale.
Tale progetto si basa però sull’assunto di costruire un sistema distributivo trans-mediterraneo, per vendere poi questa energia disponibile anche per le nazioni UE, quando, si prevede entro il 2012, verrà attuata l’interconnessione delle reti con dorsali sottomarine, una situazione che potrebbe risultare conveniente quasi esclusivamente per i paesi europei, futuri utilizzatori delle potenzialità energetiche, più che per le aree più disagiate dei paesi nordafricani.
Tali considerazioni sono la base di una ricerca, finanziata nell’ambito del REEEP (Renewable Energy and Energy Efficiency Partnership) che ha portato alla ideazione di uno strumento che permetta di aumentare le disponibilità economico finanziarie da dedicare a programmi di cooperazione in ambito energetico, con interventi che possano realmente andare a beneficio delle popolazioni locali: i certificati di cooperazione energetica, Renewable Energy Cooperative Certificate (RECC).
Il meccanismo ipotizzato andrebbe a collegare le caratteristiche di un sistema di mercato (tipo Certificati verdi e bianchi) con le necessità del supporto allo sviluppo e alla cooperazione.
Per poter applicare al meglio il meccanismo sono stati costruiti due differenti scenari, che sottostanno a due differenti ipotesi tecniche di applicazione.
Il primo scenario prevede l’applicazione del RECC in aree remote o svantaggiate del pianeta, per contribuire, anche indirettamente, al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. L’incremento dell’accesso all’energia sarà, in questo caso, a costo zero per l’ambiente, grazie alle fonti rinnovabili e, inoltre, potrà innescare un meccanismo virtuoso di sviluppo economico e sociale.
Nell’ipotesi di applicazione, il meccanismo vuole svincolare la produzione dell’energia dall’utilizzatore finale dei certificati, agganciando la valorizzazione di questi ultimi al consumatore finale.
L’energia, per ottenere la qualificazione di “cooperativa”, dovrà sostanzialmente essere consumata lì dove prodotta, per poter realmente far parte di un meccanismo di riequilibrio della ricchezza, operante a livello internazionale, e riconducibile al settore privato.
Un sistema di questo tipo deve riuscire a coniugare le esigenze della cooperazione, in termini di velocità di intervento, capacità di soddisfare i bisogni operando dal basso e adeguatezza delle risorse impiegate, con quelle della certificazione, principalmente correttezza e veridicità delle informazioni e imparzialità del verificatore.
Per poter ottenere risultati soddisfacenti, lo strumento deve essere semplice ed operativo, con una richiesta di intervento finanziario per l’implementazione dei progetti “dal basso”, vale a dire che saranno gli stessi beneficiari degli interventi o le organizzazioni umanitarie o di sviluppo operanti sul posto a fare richiesta di finanziamenti per i progetti.
Considerando che questo strumento deve essere allo stesso tempo facile da utilizzare anche per chi non opera solitamente come società di servizi energetici (si pensi ad esempio alle ONG o alle opere missionarie) e in grado di soddisfare le esigenze tecniche e di controllo proprie di uno strumento di certificazione, abbiamo ipotizzato strumenti di tipo “web based” che siano in grado inoltre di diminuire i “costi di transazione” e i tempi di attesa, operando su una piattaforma multilingua, in grado di incrementare ulteriormente la fruibilità del sistema stesso.
La ricerca di queste caratteristiche ha suggerito un funzionamento simile al meccanismo dei certificati bianchi, in quanto:
− Il meccanismo non prevede l’interconnessione alla rete per la quantificazione dei risparmi di energia;
− Tra i metodi di calcolo dei risparmi è previsto il ricorso alle “schede standardizzate”, in grado di predeterminare la quantità di certificati che saranno emessi, senza dover ricorrere a misurazioni a posteriori;
− Il meccanismo opera su una piattaforma accessibile via internet e, attraverso essa, è possibile espletare tutte le pratiche e disporre dei titoli.
È dal punto di vista economico e finanziario che il meccanismo dei RECCs assumerà un carattere innovativo che ben si sposa con la caratteristica della volontarietà a parteciparvi.
Il soggetto centrale dovrà organizzare un mercato per i RECCs, vale a dire dovrà far sì che domanda e offerta riescano a incrociarsi tra loro.
Dal lato della domanda, gli acquirenti dei certificati saranno le aziende di distribuzione dell’energia operanti nei paesi ad alto reddito: queste, sfruttando la liberalizzazione in atto dei mercati finali, potranno diversificare la loro offerta per cercare di incrementare le proprie quote di mercato.
In questi paesi, infatti, il lato domanda, inteso come il consumatore finale di energia, deve essere considerato come un soggetto economico più maturo rispetto al consumatore che valuta solo sulla base di una convenienza economica immediata: sempre più spesso, infatti, assistiamo a fenomeni che dimostrano come sia oramai ben radicato, nell’opinione pubblica, un legame empatico nei confronti dell’ambiente e delle condizioni di vita delle popolazioni disagiate, come è evidente lo sviluppo delle certificazioni ambientali e sociali, o la crescita del mercato cosiddetto “equo e solidale”. È quindi ipotizzabile che una parte dei consumatori di energia, in particolare i soggetti pubblici, le ONLUS, le ONG o i singoli cittadini, siano interessati ad un’offerta di energia che contenga tra le sue caratteristiche quella di contribuire al miglioramento della qualità della vita di altre persone.
Se da un lato, quindi, le aziende di distribuzione compreranno certificati, questi serviranno a far fronte alla fornitura di energia (elettrica) cooperativa (energia che noi vorremmo chiamare “del Millennio”) ad utenti finali tramite progetti di cooperazione nei PVS.
Un altro aspetto innovativo, riguarderà le modalità di finanziamento dei progetti: da un lato, infatti, il ricorso ai “feed in tariff” è possibile in contesti economici in cui vi sia la possibilità di raccogliere capitali per gli investimenti, attraverso un mercato finanziario sviluppato, ma difficile in un contesto di cooperazione, dall’altro “regalare” l’energia vuol dire correre il rischio di vederla sprecata.
Combinando questi fattori, si è pensato di risolvere questo problema ricorrendo alla creazione di un “micromercato” dell’energia, basato sull’esperienza del microcredito, un sistema in cui l’energia prodotta dovrà essere pagata dai beneficiari, con un prezzo in linea con quello medio del Paese ospitante che permetterà di avere una piccola dotazione finanziaria necessaria ad attivare, accanto all’intervento tecnologico,un intervento formativo rivolto alla creazione di figure professionali in grado di operare per il mantenimento degli impianti.
In assenza di un fondo finanziario in grado di investire a lungo termine sui progetti durante l’anno n-1, l’ammontare dei fondi per l’investimento sarà recuperato attraverso i distributori di energia in Europa venderanno “allo scoperto” l’energia del Millennio, in modo da formare il fondo che durante l’anno n potrà operativamente dare vita a programmi e progetti di cooperazione energetica con le caratteristiche già delineate: alla fine dell’anno n-1 vi sarà una domanda di certificati e un’offerta di progetti e quindi il mercato vero e proprio può partire.
Hanno collaborato alla ricerca e all’articolo
Emanuele Piccinno (PhD) – Unita di ricerca IES – CIRPS – “Sapienza” Unità di Roma
Daniele Villoresi (dottorando in “Tecnologie energetiche per lo sviluppo sostenibile) – Unità di ricerca IES – CIRPS – “Sapienza” Unità di Roma