Gli Stati Uniti aprono sul clima: cogliere l’attimo per Copenhagen
Alla fine con lucidità politica, senso delle priorità ed una certa coerenza Barak Obama, in vista del vertice di Copenhagen, riconosce alla Conferenza sui mutamenti climatici, e quindi alle Nazioni Unite, un ruolo centrale nella trattativa per ridurre le emissioni di gas serra mondiali. Ieri alla vigilia della festa nazionale più popolare degli Stati Uniti, quel Thanksgiving che si celebra oggi, quarto giovedì del mese di novembre, per festeggiare il raccolto della stagione autunnale, prima del grande freddo invernale, secondo la tradizione avviata dai coloni inglesi nella zona del Massachusetts nella famosa “Plymouth plantation”nel 1621, è arrivata la buona notizia: Obama arriverà il 9 dicembre in Danimarca con una proposta che ricalca il famoso “energy bill” che sta per diventare legge negli Stati Uniti.
La proposta della Casa Bianca, degna di attenzione perché per la prima volta nello scenario internazionale offre dei “numeri vincolanti”, prevede un taglio delle emissioni dei sei gas serra inclusi nella Convenzione sui mutamenti climatici, rispetto ai livelli del 2005, del 17% entro il 2020 (che sarebbe solo circa il 4% in meno se si usasse come linea base quella presa dal Protocollo di Kyoto che misura le riduzioni rispetto alle emissioni del 1990), del 30 % entro il 2025 (che sarebbe un 16% di riduzione rispetto al 1990) e del 42 % entro il 2030 (che sarebbe un 30% circa di riduzione rispetto al 1990). La svolta di Obama, diventa concretamente importante perché deve essere sommata alle misure di sviluppo avviate con il pacchetto di finanziamenti di milioni di dollari per la Green economy già avviate negli Usa sin dall’estate scorsa che consentiranno di diffondere le fonti di energia rinnovabile, l’efficienza energetica e i bio-combustibili di nuova generazione che non competono con la filiera alimentare. Non solo. E’ una apertura verso la proposta dell’Unione ‘Europea 20% di riduzione delle emissioni al 2020, rispetto ai livelli del 1990, con la disponibilità di portare il taglio dei gas serra fino al 30%, a cui si unisce una proposta del Giappone di un taglio del 25% al 2020. Molto di più del piccolo 4% “reale” proposto dagli USA, ma già il fatto che vi sia una proposta vincolante con numeri, anche se non è in linea con le aspettative dell’Unione Europea, potrebbe rendere il vertice di Copenhagen una pietra miliare, avviando anche un percorso virtuoso nel paese che Bush aveva tenuto fuori dalla lotta ai mutamenti climatici pur essendo il primo responsabile globale dell’effetto serra.
La proposta di Obama potrebbe essere in grado anche di far muovere i “colossi” cosiddetti in via di sviluppo come Cina, Brasile, India, Sud Africa.
In particolare la Cina oggi ha annunciato che ridurrà l’ammontare di emissioni di gas serra per unità di prodotto interno lordo (cioè l’intensità carbonica), del 40% entro il 2020. E’ un’azione volontaria del governo cinese, un piccolo contributo agli sforzi globali contro i cambiamenti climatici, non è una disponibilità ad accettare target vincolanti ma potrebbe portare ad una importante svolta. Inoltre, cosa mai accaduta, il premier cinese Wen Jiabao parteciperà anche lui alla conferenza di Copenhagen.
Ora le diplomazie europee dovranno saper coagulare attorno a questa apertura della Casa Bianca una proposta vincolante e numerica da siglare a Copenhagen. Non farlo significherebbe perdere un’occasione che l’Europa cerca sin dal 1997 a Kyoto. Poi nel 2010 in Messico ci sarà tempo per affinare il meccanismo tecnico per raggiungere le riduzioni di emissioni e promuovere le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, e anche ragionare meglio sui numeri. Purché i numeri ci siano!
Aldo Iacomelli