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Abruzzo: circa una decina le faglie attive che preoccupano gli esperti

11 giugno 2009 0 commenti
La faglia di Paganica

 Tutto è partito dalla faglia di Paganica, una frattura della roccia profonda diverse decine di km,  lungo la quale continuano a scorrere l’una contro l’altra due masse rocciose. Ma questa non è l’unica faglia attiva presente nel territorio abruzzese. A preoccupare gli esperti  diverse altre fratture della crosta, già da tempo rilevate e cartografate dall’’ISPRA, che possono provocare terremoti ancora più forti di quello di aprile, viste le loro dimensioni. Infatti,  fu proprio un’altra faglia, quella di Pizzoli, che il 2 febbraio del 1703 diede vita ad un terremoto pari al X grado della scala Mercalli, provocando migliaia di vittime e  moltissimi danni.    Da qui la necessità di realizzare al più presto un carta delle faglie attive su scala nazionale, strumento divenuto ormai indispensabile  per fini di prevenzione  sismica. 

E ‘ quanto deciso dagli enti che hanno partecipato alle operazioni di rilevamento in Abruzzo, nel corso di una giornata dedicata allo studio degli effetti ambientali scatenati dell’evento sismico.                                        

Lo scenario analizzato dagli esperti, risultato tipico per terremoti di magnitudo intorno a 6, ha prodotto un ampia gamma di effetti geologici sull’ambiente.  Centinaia i crolli in roccia calcarea, con massi anche superiore al metro cubo, che hanno determinato la chiusura per diversi giorni di importanti vie di comunicazione, tra cui  la SS17 a San Venanzo e la SS696 a San Potito. Centinaia anche le fratture nel terreno e nel manto stradale, decine i fenomeni franosi, qualche liquefazione e, localmente, variazioni di portata delle sorgenti idriche. 

Sulla base di tali effetti è stato possibile applicare anche la nuova scala ESI (Environmental Seismic Intensity scale),  che misura la forza dei terremoti in base ai danni  ambientali.  L’intensità epicentrale  è risultata pari a IX ( su un massimo di XI), in sostanziale accordo con le valutazioni di intensità della scala Mercalli, basata invece sui danni.  Dal confronto degli effetti geologici prodotti da altri eventi sismici avvenuti nel passato è stato possibile verificare che non si tratta del terremoto più forte registrato zona dell’Aquila. Ad esempio, quello del 2 Febbraio 1703 sembrerebbe aver raggiunto intensità ESI pari ad almeno X.