Home » Alessandra Lasco » Azioni, biodiversità, Politiche »

Copenhagen: il duplice volto dei crediti REDD

30 novembre 2009 0 commenti
foto di Franco Iozzoli

foto di Franco Iozzoli

Saranno al centro del prossimo vertice sul clima e rappresentano una delle opzioni disponibili per contrastare l’effetto serra e i conseguenti cambiamenti climatici. Si chiamano REDD, Reducing Emissions from Deforestation and Degradation of Forests e sono attività che, se approvate al prossimo summit di Copenhagen, servirebbero a legare la conservazione delle foreste al mercato del carbonio e compensare i Paesi in via di sviluppo che, in cambio, si impegnano a preservarle o a ridurre il tasso di deforestazione. Funziona in questo modo: i Paesi che diminuiscono le emissioni provocate da deforestazione immettono sul mercato i crediti di carbonio guadagnati che possono essere acquistati da chi, ad esempio, non riesce a far fronte agli impegni presi in campo internazionale con la ratifica degli accordi successivi al Protocollo di Kyoto. I REDD, quindi, si potrebbero rivelare un’arma a doppio taglio: da un lato consentono ai paesi più poveri di entrare nel mercato, dall’altra autorizzano implicitamente chi non rispetta gli impegni con idonee strategie nazionali a sviare il problema comprando crediti altrui. Col rischio che, tra qualche anno, quegli stessi crediti alloggiati possano andare in fumo insieme alle foreste che li hanno contenuti.

Eppure l’urgenza di ricorrere a queste attività, che si basa sulla consapevolezza che il 20% dei gas-serra di natura antropogenica accumulati ogni anno in atmosfera deriva dalla distruzione e della degradazione delle foreste globali (si parla di circa 1,6 miliardi di tonnellate di carbonio) è stata evidenziata anche al G8 dell’Aquila. Già nel 2007, alla Conferenza delle Parti di Bali, emerse un primo piano di azione che prevedeva un quadro di attività dimostrative (sostenute dal Fondo di partenariato per le emissioni di anidride carbonica derivanti da deforestazione) per sperimentare i diversi approcci relativi alle attività REDD nei successivi due anni, in vista di un loro eventuale inserimento negli accordi post-2012. Quello appunto che dovrebbero uscire dal prossimo incontro di Copenhagen.

Intanto la Banca Mondiale ha già avviato 14 progetti REDD in paesi tropicali nel tentativo di arrestare la perdita di superficie forestale prima del 2030 e di dimezzare l’attuale livello di deforestazione lorda globale prima del 2020. Per il raggiungimento di quest’ultimo traguardo, la Commissione Europea  ha stimato un importo che si aggira tra i 15 e 25 miliardi di euro annui.

Ma quale sarà il vero risultato? Apparentemente i REDD potrebbero rappresentare una strada significativa per la riduzioni delle emissioni e, al tempo stesso,  fonte di entrate per le nazioni in via di sviluppo, dove del resto si concentra la maggior parte della deforestazione globale. Ma chi si oppone al loro inserimento nell’accordo post-2012,  sottolinea l’ipotesi, anche non remota, che i Paesi industrializzati, possano servirsi di questo strumento per  ritardare l’adozione di azioni realmente responsabili: efficienza energetica, risparmio energetico, energia rinnovabile, trasporti, eccetera.

L’Unione Europea, entro il 2013,  intende creare un meccanismo mondiale del carbonio forestale (Global Forest Carbon Mechanism, GFCM) e, in una prospettiva di lungo termine, inserire i crediti provenienti dalle attività forestali nel mercato europeo dei crediti di carbonio (EU-Emissions Trading Scheme).  Il tutto sarà sperimentato durante una fase pilota in cui si testerà il meccanismo e naturalemnte si autorizzerà l’acquisto dei REDD per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione all’indomani del 2012. Al termine di questa fase iniziale, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di autorizzare le imprese a servirsi di questi crediti per compensare parte delle loro emissioni dopo il 2020. “L’inserimento dei REDD nelle opzioni di contenimento dell’effetto serra— spiega Lorenzo Ciccarese dell’ISPRA – presenta diversi ostacoli.  Si va dall’anno di riferimento su cui confrontare i risultati ottenuti dalle nazioni alla misurazione dei crediti guadagnati con le emissioni evitate; dal riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene e locali ai rischi di fenomeni di corruzione e criminalità, anche se le esperienze pilota promosse in questi ultimi 4-5 anni sono state sicuramente importanti e sufficienti per prevenire effetti perversi.  In ogni caso- prosegue – la loro inclusione sarà possibile solo se da Copenhagen verrà fuori un accordo forte di riduzione dei gas-serra. Un accordo che imponga alle nazioni di tagliare le emissioni del 1990 del 30-40% entro il 2020,  produrrà un mercato di crediti di circa 120 miliardi di dollari USA l’anno.  Questo vuol dire che se fosse raggiungibile attraverso l’acquisto di crediti REDD anche solo il 10% del totale di riduzione richiesta dall’accordo, il valore dei crediti di carbonio forestali ammonterebbe a circa 12 miliardi di dollari USA.”