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Caccia: tutti i contro dell’articolo 38

3 febbraio 2010 0 commenti
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Foto di Adriano De Faveri

Dovrà passare nuovamente alla Camera, ma se approvato in maniera definitiva, l’emendamento alla legge sulla caccia posto dal Senato si preannuncia come volano ( è proprio il caso di dirlo) di non pochi problemi.   Ma perché l’ormai famoso articolo 38 ha creato tutto questo scalpore? Quali sono le possibili conseguenze?

Il fulcro del provvedimento, quello che ha suscitato le reazioni del mondo ambientalista, è la parte che cancella i limiti stabiliti dalla legge per la stagione venatoria nei confronti della specie di uccelli ritenuti cacciabili (1° settembre – 31 gennaio). L’emendamento affiderebbe alle Regioni il compito di definire tali limiti e, quindi, anche di allungare i tempi della stagione, con la motivazione di adeguare, per evitare ulteriori procedure d’infrazione, la normativa italiana alla direttiva europea sulla protezione degli uccelli. Peccato, però, che proprio la direttiva in questione sia stata già pienamente recepita e le procedure di infrazione in corso non riguardino il periodo di caccia, ma le modalità con cui alcune regioni hanno applicato le deroghe alla protezione degli uccelli, consentendo il prelievo venatorio di specie non inserite nella lista degli “ammessi”. L’unico caso di procedura di infrazione relativo ai periodi di caccia è quello della regione Sardegna, la sola che ha prorogato ( per alcuni uccelli) la stagione venatoria a tutto il mese di febbraio. Ma il caso della regione sarda dimostra che l’adozione dell’emendamento, invece di  ridurne il rischio, innescherebbe un ulteriore contenzioso in sede comunitaria.

A parte il fatto che la legge emendata era stata riconosciuta dalla Corte costituzionale come norma fondamentale di riforma economico sociale e che sia l’individuazione delle specie cacciabili che di quelle tutelate per esigenze di riproduzione, anche con la definizione dei limiti massimi di caccia, erano stati dichiarati di competenza dello Stato (e quindi il provvedimento in esame è assolutamente in contrasto con la Corte Costituzionale), esistono dei criteri biologici e tecnici a cui attenersi. Gli uccelli migratori, infatti, attraversano l’intero territorio italiano in pochissimi giorni, soprattutto durante la migrazione prenuziale (cioè di ritorno dai luoghi di nidificazione).  Inoltre, è la stessa direttiva europea a fermare la caccia degli uccelli selvatici durante la stagione riproduttiva e di dipendenza dai genitori. La motivazione alla base è, ovviamente, palese: la conservazione delle specie. E’ chiaro che, autorizzando lo “sport” in questi periodi, le ripercussioni sarebbero davvero gravi. Prelevare gli individui nidificanti o quelli che hanno ancora piccoli dipendenti dalle loro cure vuol dire interferire negativamente con la consistenza e la dinamica delle popolazioni. Cacciare poi durante il ritorno ai luoghi di nidificazione può determinare importanti alterazioni, in rapporto alle classi di età e di sesso, della struttura delle popolazioni.   Durante la migrazione prenuziale spesso transitano prima i maschi delle femmine e prima gli adulti rispetto ai giovani, differenziati per sesso. Questo per far si che, al loro arrivo, le femmine possano trovare i maschi già insediati nei rispettivi territori e possano ottimizzare i tempi della riproduzione dando inizio immediato al corteggiamento. I primi dunque a lasciare i luoghi di svernamento sono i maschi che raggiungono in anticipo rispetto agli altri le condizioni fisiche migliori e sono quindi caratterizzati da alti livelli di riproduttività. E’ facile dedurre che la caccia autorizzata anche solo nelle prime fasi della migrazione determinerebbe proprio il prelievo delle componenti più importanti dal punto di vista demografico. In altre parole se la caccia si prolungasse oltre la metà dell’inverno, aumenterebbe progressivamente le probabilità di sottrarre alla popolazione individui caratterizzati da una crescente speranza di sopravvivenza, cioè quelli che creeranno lo stock nidificante da cui dipende la conservazione e la produttività della popolazione stessa. Cosa che andrebbe contro gli stessi interessi dei cacciatori che dovrebbero avere a cuore il mantenimento di popolazioni in buono stato di conservazione ed altamente produttive. La testimonianza sperimentale del meccanismo appena illustrato è data dal variare della percentuale relativa di uccelli adulti abbattuti rispetto a quelli giovani: all’inizio della stagione sono generalmente i giovani a cadere nel carniere, mentre il rapporto tende ad invertirsi nella parte finale.                                                                                                                                                                                                                               Non è un caso se  la data di chiusura prescelta dalla maggior parte dei paesi europei ,  dal Canada e dagli Stati Uniti è proprio la fine del mese di gennaio, data prevista anche dall’attuale normativa italiana.