Speriamo che sia femmina
Sembra trattarsi di una giovane femmina. In base alla descrizioni e alle foto scattate da coloro che hanno segnalato l’avvistamento della foca monaca nell’arcipelago toscano, le probabilità che l’esemplare appartenga al genere femminile sarebbero molto alte. Il colore del manto e un primo leggero accenno di alcune cicatrici sul dorso, che generalmente diventano più accentuate man mano che l’esemplare cresce, sembrerebbero indicare proprio questa prima ipotesi. D’altra parte anche la foca avvistata da 3 subacquei romani a fine agosto in prossimità dell’isola di Ponza è stata descritta con simili caratteristiche sia in termini di lunghezza stimata che di colorazione del manto. Ancora non si sa quindi se si tratta dello stesso esemplare osservato all’inizio di giugno in entrambi i luoghi o di due differenti, ma il suo avvistamento rappresenta comunque una rarità (soprattutto in considerazione delle località in cui si sono verificati gli eventi), basti pensare al fatto che non esistono elementi a conferma di una sua regolare presenza lungo le coste italiane.
Nell’ anno della biodiversità particolare riguardo merita questo animale marino, ormai vicino all’estinzione, la cui storia è stata davvero segnata da continue persecuzioni. Cacciata da secoli, già dai tempi dei romani, la sua scomparsa dalle coste continentali dell’Italia è iniziata durante la metà del secolo scorso e la sua presenza regolare, anche con attività riproduttive, lungo quelle insulari della Sicilia e della Sardegna è stata registrata fino alla metà degli 80. Alle origini perseguitata per il cuoio e l’olio ricavati dalla pelle e successivamente “condannata per furto” di pesce dalle reti, la sua eliminazione è avvenuta mediante uccisione diretta per opera degli stessi pescatori ed è aumentata in misura proporzionale alla crescita della pesca. Un’ impennata nel tasso di mortalità si è avuta anche con l’entrata in campo delle reti in fibre di nylon, talmente resistenti che se calate in prossimità delle grotte utilizzate per il parto rischiano di catturare accidentalmente i cuccioli neonati. Nel 1990 in Turchia il 66% dei cuccioli è rimasto vittima di tali attrezzature da pesca.
Il risultato è che, ad oggi, sembrano esistere meno di 500 esemplari in tutto il Mediterraneo, lungo le coste atlantiche del Sahara Africano e delle isole Desertas in Portogallo. Per quanto riguarda l’Italia, l’ ISPRA, l’Ente istituzionalmente accreditato al monitoraggio ambientale incluso quello marino, in 11 anni di attività ha raccolto 67 segnalazioni di cui 43 ritenute attendibili.
“Per far salire il tasso di sopravvivenza dei piccoli e di conseguenza anche quello dell’intera popolazione – ha commentato l’esperta Giulia Mo – basterebbero poche mosse: eliminare la minaccia da uccisione diretta e modificare, con dei piccoli accorgimenti, le modalità di pesca in prossimità delle grotte del parto, anche solo nel periodo dell’attività riproduttiva. E infatti è proprio su questi elementi strategici gestionali e di conservazione che hanno giocato paesi quali la Mauritania, il Portogallo, la Grecia e la Turchia che ad oggi ospitano le colonie più importanti della specie. L’auspicio – prosegue – è che lo stesso accada in altre zone del Mediterraneo come le sponde del nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia) e dell’isola di Cipro dove si ipotizza ancora la presenza di piccole colonie. Di riflesso, quest’approccio potrebbe anche avere delle ripercussioni lungo le nostre coste, perché la foca monaca, sebbene sia una specie che frequenta siti costieri (le grotte marine) è anche capace di spostamenti su distanze ampie quanto quelle che separano la Sardegna e la Sicilia dal nord Africa”.