Milioni in biodiversità
Va ben oltre i 10 miliardi di euro il costo dei danni provocati finora dalla perdita di biodiversità che, come se non bastasse, continua a procedere ad un ritmo incalzante, un ritmo giudicato dagli esperti da 100 a 1000 volte superiore a quello registrato in epoca pre-umana. Una cifra esorbitante soprattutto se si considera che la somma in questione si basa solo sui problemi causati dell’introduzione delle specie alloctone, colpevoli insieme a deforestazione, cambiamenti climatici, inquinamento e sovra sfruttamento della perdita di biodiversità. Secondo lo studio dell’Ispra, promotore e organizzatore della conferenza sulla biodiversità in corso in questi giorni a Roma, in Europa esistono oltre 1000 specie esotiche alloctone e più di 1000 che provocano impatti. Di questi solo il 10% risulta effettivamente noto. Ne sono alcuni esempi l’oca del Canada, il mitilo zebrato, il salmerino, l’acetosella gialla e la nutria, che rientrano tra i 100 peggiori invasori dei nostri ecosistemi e tutti comportano un conseguente esborso di denaro. Solo in Inghilterra la perdita causata dagli insetti alloctoni è stata stimata intorno ai 2,8 miliardi di euro l’anno, mentre, più in generale, il costo delle azioni necessarie a contenere gli effetti delle 30 più comuni erbe infestanti introdotte dall’uomo supera i 150 milioni di euro. Per non parlare delle piante. Alla somma, infatti, si devono aggiungere 3,4 milioni di euro derivanti da piante acquatiche invasive (come il giacinto d’acqua) e da altre alghe marine presenti nei nostri mari. Per il ‘controllo’ delle nutrie si spendono invece 4 milioni l’anno e si prevede un costo futuro superiore ai 12 milioni di euro. Un studio dell’ISPRA ha valutato 5-600mila euro il costo della perdita di 1 solo ettaro di foresta o di un’area naturale localizzata in prossimità di centri urbani. Un risultato a cui si giunge considerando non solo il valore del legno e di altri prodotti forestali, ma anche tutti i servizi ambientali forniti alla collettività, incluso il servizio ricreativo, turistico, di controllo delle fonti acustiche e delle polver. Ancora, alcuni casi di studio indicano che una barriera corallina, il bioma con il massimo valore secondo gli scienziati dell’ormai famigerato TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity Study), vale 1,2 milioni di dollari USA per ettaro.
Ma da cosa nasce questa tendenza a dare un valore alla biodiversità e ai servizi ecosistemici? Il Segretario Generale ONU, Ban Ki-moon, nell’introduzione del Global Biodiversity Outlook dell’UNEP, ha spiegato chiaramanente che, nonostante gli sforzi, l’obiettivo di arrestare il declino della biodiversità entro il 2010 non potrà essere raggiunto. Questo dimostra che gli approcci scelti finora non sono più sufficienti e le sole politiche basate sulla conservazione non bastano più. Inoltre, questioni come l’attribuzione di un valore ai servizi ecosistemici e la stima dei costi per le società legati alla perdita di biodiversità, ai livelli politici vengono ancora generalmente ignorate o sottostimate. Eppure, già nel 1997, i primi studi sulla valutazione economica della biodiversità mondiale pubblicati da Nature, calcolando il valore di 17 servizi degli ecosistemi (dalla regolazione del clima ai cicli idrici, dall’impollinazione alla formazione del suolo, dal turismo ai valori spirituali, ecc.), parlavano di cifre comprese tra 16.000 e 54.000 miliardi di dollari l’anno e una media annuale di 33.000 miliardi di dollari. Nel 2002, in un altro lavoro pubblicato su “Ecological Economics”, attraverso un nuovo modello unificato di stima definito GUMBO (Global Unified Metamodel of the Biosphere), il calcolo della biodiversità mondiale in termini econimici raggiungeva i 180.000 miliardi di dollari all’anno, mentre, recentemente, gli autori del TEEB hanno attribuito alla biodiversità e i servizi ecosistemici globali un valore annuale di 350mila miliardi di dollari USA.