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Tra Robin Hood e le cose serie

5 marzo 2009 0 commenti

Gentile Gabriella Meroni,

ho letto l’articolo che ha scritto per l’ultimo numero di Vita sulla strana parabola professionale di Alessandro Messina (lo alleghiamo in fondo, NdR) e - nonostante le iniziali ritrosie - mi sono deciso a scriverLe una brevissima lettera che spero vorrà intendere come amichevole (e che apro al blog di finansol.it).

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Un tono che in realtà non svela nessun retroscena e non anticipa nessuna conclusione, ma che è solo conseguenza del fatto che io e Lei non ci conosciamo e che quindi in questo caso Le tocca il ruolo di intermediaria per quel che avrei da dire a chi dirige la Sua rubrica o il settimanale per cui scrive.

Comincio anzitutto salutando positivamente il ritorno di Vita sui temi della finanza etica perchè era dai tempi di Francesco Maggio che nessuno dalle parti di via D’Agrate mi stimolava più qualche riflessione di rilievo; ahimè non c’era infatti Vita ai tempi in cui si riempivano i teatri con le Giornate dell finanza etica, non c’erano i giornalisti di Vita nelle tantissime occasioni in cui le mutue auto gestione han provato a parlare al pubblico di quel che di fatto anticipava i premi nobel multitasking in arrivo dall’oriente. Insomma, per dirla in gergo i giornalisti di Vita se la son sempre tirata un casino e l’idea che invece adesso scrivano delle cose che con l’Afe abbiam fatto negli ultimi dieci anni (addirittura citando il Manifesto della finanza etica!!!) m’inorgoglisce, mi lusinga al punto che mi domando se non ci sia dietro una sorta di modernariato giornalistico. Certo sarebbe meno onorevole per noi che all’afe dedicammo le nostre passioni e che su quello costruimmo un tentativo di professione - e forse anche per Francesco che così lunghe ed interessanti telefonate scambiò con noi nel tentativo di capirci e confrontarsi con le nostre tesi - ma sarebbe plausibile per i toni che ultimamente ha assunto il settimanale del nonprofit (il “chi sale e chi scende del terzo settore” è una roba da nerd delle cooperative sociali, lasciatevelo dire…).

Epperò potrebbe anche non essere solo una questione di stile. So bene che essendo Alessandro uno dei miei migliori amici nonchè la persona con cui ho lavorato meglio negli ultimi dieci anni (cioè da sempre) la riflessione delle prossime righe sembrerà antipatica, ma ci tengo comunque a chiederLe - gentile Gabriella Meroni - cosa volevate fare quando avete deciso di scrivere un pezzo sul cambio di carriera dell’ex presidente dell’Associazione Finanza Etica? Se l’intento era squisitamente giornalistico perchè non lo avete scritto quando (nel 2004!!!) scelse di dimettersi dalla presidenza di Afe e assunse l’incarico di dirigente in un ufficio della pubblica amministrazione capitolina? o quando decise di andare alla direzione del Ministero della Solidarietà Sociale dell’ultimo governo Prodi? Forse che le posizioni allora assunte non stimolavano il crasso contrasto che vi ha fatto scrivere dello “strano caso del robin hood che si fece sceriffo”?

Qualche amico commentando l’articolo lo ha definito “di costume” e potrebbe aver avuto ragione, ma in quel caso obiettivo e titolo sono in fortissimo contrasto perchè valorizzare un dirigente Abi con un pezzo che ce lo rende obiettivamente più simpatico e titolarlo con un paragone così forte tra guardie e ladri in costume sembra attaccare soprattutto il movimento della finanza etica, non tanto l’associazione bancaria, che al contrario ci spunta un’immeritata svolta riformatrice e si dimostra ben più aperta di qualche CdA in via di autoriproduzione dalle parti di Padova. Non ci rimette nemmeno Messina che dalle barricate agli uffici dove la cravatta è prassi ci era già passato anni fa, che alle vie riformatrici era da sempre portato (checchè ne dica chi lo accusò di essere la longa manus del comunismo e della massoneria romana alla conquista della piccola bancaetica di padova) e che allo studio di contenuti radicali non ha mai smesso di dedicare quel po’ di tempo che gli rimane a fine giornata.

Insomma, cari amici di Vita, temo che l’operazione risulti almeno acrobatica. Assommando pregi e difetti di un movimento complesso e collettivo come quello della finanza etica su di una singola persona (e quindi imputando a lei sola i relativi successi e la clamorose incoerenze) non si rende giustizia nè al movimento nè alla persona. E’ una cosa stupida, prima ancora che poco strategica per il rapporto di forze che inevitabilmente si crea nel conflitto tra ortodossia (quel che che c’è) e alternativa (quel che vorremmo ci fosse). Credete - ve lo dico perchè potreste anche non averne mai avuto notizia - una delle principali differenze tra i due modi di abitare il mondo sta nel non credere che vi vivano solo pochi leader e tanto popolo bue.

Paragonare l’Alessandro Messina dei tempi dell’Associazione Finanza Etica ad un robin hood è prima di tutto ridicolo (rimanda ad un populismo cui non ci abbandonammo mai), ma soprattutto indice di una conoscenza di quello che il movimento volle fare, progettò e portò avanti lavorando con associazioni industrie e pubbliche amministrazioni, veramente scarsa.

Se invece l’obiettivo dell’articolo era un’altro anzitutto mi scuso e offro sin da ora le pagine di finansol.it per far ospitare un dibattito che non ho saputo cogliere, un’intenzione differente da quella che mi ha stimolato la lettera aperta o anche solo una risposta. Perchè alla fin fine (non ditelo a chi dedica tanto tempo a costruirvi posizioni cattedrali) tutti insieme noi che ci dedichiamo alla finanza etica “contiamo” molto meno di una piccola banca popolare di provincia e quindi star qui a raccontarsi le bugie mi pare tempo sprecato.

Cordialmente, Marco Gallicani

P.S: lo segnalo qui più per dovere verso il mio editore che per altro, ma il “Manuale del risparmiatore etico e solidale” lo hanno scritto Irene Ghizzoni (autrice delle versioni del 2001 e del 2003 quando l’editore era Berti, di Piacenza) e il sottoscritto l’estate scorsa quando me lo chiesero i tipi di Altreconomia. Così, per quel che valgono le correzioni in questo paese dove le parole valgono molto meno di quel che dovrebbero…

L’articolo lo potete leggere cliccando qui (dove c’è l’immagine della prima parte) e qui (dove c’è la seconda)