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Conferenza di Copenhagen e clima, le soluzioni per ridurre davvero le emissioni di gas serra

10 dicembre 2009 0 commenti

centrale a carboneNon guardo con particolare ottimismo alla conferenza sul clima in corso a Copenhagen, l’ho già scritto, e tanto meno suscita il mio entusiasmo la commercializzazione delle quote di emissione di anidride carbonica – il principale gas serra – verso la quale il summit tenderà, pare, ad evolversi.

Però ritengo che l’effetto serra e i cambiamenti climatici prodotti dalle attività umane siano una minaccia seria, serissima. Quali le soluzioni effettive? Vediamo.

Scarto subito il nucleare, anche se viene “venduto” da molti politici come una soluzione all’effetto serra dal momento che si produce energia senza combustibili fossili, il cui uso comporta appunto l’emissione di anidride carbonica.

Però, anche lasciando perdere effetti tutt’altro che collaterali come sicurezza, costi e scorie, resta un dato di fatto: ci vogliono almeno 10 anni per costruire una centrale nucleare. Le emissioni di anidride carbonica vanno ridotte qui ed ora, dicono gli scienziati nel Copenhagen Diagnosis.

Non trovo utile neanche il Ccs, o Carbon capture and storage, o carbone pulito dir si voglia: altra cosa su cui invece puntano molti politici.

Catturare e seppellire sottoterra l’anidride carbonica che esce dalle centrali per la produzione di energia elettrica richiede circa un terzo dell’energia prodotta dalle centrali stesse: e non è affatto detto che poi rimanga nella sua tomba per omnia saecula saeculorum.

Però, tanto per cominciare, i politico potrebbero accordarsi per eliminare gli enormi sussidi statali di cui godono le energie fossili. E usarli per altro, ovviamente. Provo a descrivere un paio di possibili soluzioni per le quali, personalmente, faccio il tifo.

In tutto il mondo (dati 2007), l’uso dei combustibili fossili riceve sussidi pubblici per 200 miliardi di dollari, pari al 64% della spesa pubblica globale destinata all’energia.

Si potrebbe spendere questa montagna di soldi per le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica. Un esempio classico:il riscaldamento di un’abitazione italiana media di solito assorbe oltre il doppio dell’energia impiegata a questo scopo il Germania, dove oltretutto fa più freddo. E in questo campo, l’Italia non costituisce affatto una pecora nera all’interno di un candido gregge planetario.

Evitando i sussidi alle energie fossili, poi, si potrebbe meglio aiutare lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Nel suo ultimo rapporto Energy (r)Evolution, Greenpeace ha stimato che entro il 2030 i Paesi Ocse possono arrivare a produrre oltre il 60% di energia da fonti rinnovabili con un investimento complessivo pari a 14.700 miliardi di dollari.

Rispetto al “business as usual”, sempre secondo i calcoli di Greenpeace, questo obiettivo comporterebbe maggiori spese pari a 3.400 miliardi di dollari “spalmati” su vent’anni, da cui però bisogna sottrarre i risparmi derivanti dal mancato impiego di combustibili fossili. Senza contare il vantaggio di evitare i cambiamenti climatici irreversibili…

L’analisi dei Friends of the Earth è per certi versi analoga. Dicono che la dipendenza da combustibili fossili e l’emissione di gas serra possono essere curati con investimenti pubblici, una legislazione adeguata e magari una carbon tax come quella prevista dalla Francia.

Il rapporto Energy (r)Evolution di Greenpeace

Il rapporto Dangerous Obsession dei Friends of the Earth sulle emissioni

Foto Flickr

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