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“Veg” un giorno a settimana per salvare chi muore di fame

16 novembre 2009 0 commenti

Basta parole, per aiutare concretamente più di un miliardo di persone che muoiono di fame (nel 1995 erano 825 milioni, nel 2006 sono diventati 873 milioni) ciascuno di noi può compiere un piccolo ma utilissimo gesto: consumare alimenti vegetali, rinunciando a carne e pesce, almeno una volta a settimana. Non un sacrificio ma una scelta responsabile, che la LAV ha chiesto di compiere anche ai rappresentanti della FAO e ai protagonisti del World Summit on Food Security riuniti a Roma da oggi al 18 novembre. Ai ripetuti allarmi internazionali che si sono susseguiti negli anni, non è seguita alcuna azione realmente in grado di ridurre quella popolazione di più di 800 milioni di esseri umani costretti alla fame: nel 1996 la FAO si era prefissata l’obiettivo di dimezzare questa cifra entro il 2015… invece oggi si muore di fame più di ieri. Per invertire la tendenza è necessario restituire le terre all’agricoltura perché l’agricoltura (es. legumi, riso, ecc.) è in grado di sfamare più persone di quanto non sia in grado di fare la stessa quantità di terra se occupata dagli allevamenti. Questi, peraltro, sono responsabili dell’inquinamento di falde acquifere e mari, della deforestazione, dello spreco di risorse territoriali, idriche e alimentari, e contribuiscono in maniera determinante all’effetto serra.
Ad esempio, se la soia proveniente dalla coltivazione di un ettaro di terra viene utilizzata direttamente per l’alimentazione umana produce circa 1800 gr di proteine, invece data in pasto agli animali, da quello stesso ettaro di terra si ricavano solo 60 gr di proteine sotto forma di bistecca. Quindi con la coltivazione di un ettaro di terra è possibile sfamare una persona dallo stile alimentare di un occidentale medio (abbondante di grassi e proteine animali), oppure 20 vegetariani.
La maggior parte della terra coltivabile al mondo (circa il 75% solo nell’UE) è utilizzata per produrre foraggio che nutrirà gli animali che a loro volta produrranno alimenti solo per una esigua parte della popolazione umana. Dal 1960 la produzione globale di carne è più che triplicata, quella di latte raddoppiata e il numero di uova quasi quadruplicato. Si stima che la produzione e il consumo di carne passeranno dai 233 milioni di tonnellate del 2000 ai 300 milioni di tonnellate nel 2020, il latte da 568 a 700 milioni e le uova cresceranno del 30%. In particolare Cina e Brasile vedono un incremento vertiginoso della produzione di carne che dal 1980 al 2000 è infatti passata a livello globale da 50 milioni di tonnellate a 180, ma escludendo i due Paesi sopracitati l’aumento è andato “solo” da 27 milioni a 50 milioni nello stesso periodo. In diversi Stati africani la produzione è invece diminuita: da un già relativamente basso livello di circa 15 Kg procapite annui a sotto i 5. L’aumento dei consumi di prodotti animali richiederà anche nuove terre per produrre foraggio e far pascolare gli animali. Ciò significa meno terre coltivabili e l’aumento dei prezzi, con conseguente mancato accesso al cibo per diversi settori di popolazione.
Per scongiurare questo rischio è indispensabile l’impegno concreto di ciascuno di noi a ridurre (almeno) il consumo di carne e derivati. Coloro che desiderano reperire suggerimenti su come adottare un regime alimentare sostenibile e salutare, possono collegarsi su www.cambiamenu.it.