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Allevamenti intensivi: la verità sui rischi sanitari

2 marzo 2010 0 commenti

Il consumo di carne comporta rischi sanitari di cui si parla troppo poco in Italia e di cui non sempre i consumatori hanno consapevolezza: dal rischio di assumere antibiotici ‘a pranzo e a cena’, al rischio di venire a contatto con patogeni – derivanti primariamente dal consumo di carne – che hanno sviluppato resistenze agli antibiotici.

Gli antibiotici somministrati agli animali negli allevamenti intensivi rimangono spesso nei tessuti degli animali e arrivano al piatto dei consumatori. Per produrre 1 kg di carne sono impiegati mediamente 100 mg di antibiotico. Ciò significa, per l’italiano medio e consumatore di circa 87 kg di carne ogni anno (senza considerare i consumi di prodotti ittici), ingerire involontariamente quasi 9 grammi di antibiotici, equivalenti alla somministrazione di circa 4 terapie antibiotiche ogni anno.

L’Autorità alimentare europea, EFSA (European Food Security Authority), effettua un monitoraggio costante del fenomeno e ha rilevato come in molti casi i cibi di origine animale trasmettano all’uomo batteri resistenti agli antibiotici. L’ingestione continuata – tramite la carne – di questi medicinali può alla lunga provocare disturbi intestinali cronici e inefficacia di trattamenti antibiotici a scopo terapeutico quando ne sorga la necessità. I batteri, se in costante contatto con gli antibiotici, sviluppano una resistenza a quei determinati antibiotici. Ciò significa non avere la possibilità di guarire dalle patologie trasmesse dai batteri in questione, con esiti potenzialmente anche fatali.

Sull’argomento è stato redatto il dossier “Rischio sanitario degli allevamenti intensivi. Resistenza agli antibiotici e nuove malattie”, realizzato da Roberta Bartocci, Paola Segurini e Roberto Bennati (LAV), divulgato in concomitanza con la pubblicazione in questi giorni in Italia del romanzo di Jonathan Safran Foer “Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?” (Guanda editore): un libro-inchiesta, autobiografico, che ha creato un grande dibattito negli Stati Uniti perché Foer descrive con grande realismo il sistema degli allevamenti intensivi, mettendone in discussione la necessità e in evidenza le sofferenze inflitte agli animali. Da questa indagine deriva il percorso dell’autore verso la scelta vegetariana.

Di seguito, un elenco dei principali patogeni – derivanti primariamente dal consumo di prodotti animali – che hanno sviluppato resistenze agli antibiotici e rappresentano di conseguenza un pericolo per la salute umana.

• Salmonella typhimurium e parathyphimurium: provoca diarrea, febbre, mal di testa, tosse. I casi più numerosi sono stati registrati in Italia tra il 1995 e 2004. Diverse segnalazioni implicano direttamente la presenza di ceppi di Salmonella antibiotico-resistenti provenienti da cibo contaminato. Dal 2000 al 2005 sta aumentando l’incidenza di ceppi resistenti ad alcuni trattamenti in diversi Stati dell’Unione Europea. Nell’UE, i casi di infezione provengono essenzialmente dal consumo di uova e prodotti derivati; la carne (soprattutto avicola e suina) è la seconda fonte.

• Campylobacter coli e jejuni: batterio che causa gravi dolori addominali, febbre e diarrea. I casi di campilobatteriosi nell’UE sono passati dagli 85.000 del 1995 ai 180.000-190.000 attuali. I più colpiti sono i bambini sotto i cinque anni. Una elevata proporzione di Campylobacter è resistente agli antibiotici di uso più comune come i fluorochinoloni e le tetracicline. Questo batterio vive nell’’intestino degli animali: è inevitabile che durante le rapide operazioni di macellazione il materiale fecale venga a contatto con la carne e la contamini.

• Escherichia coli: nell’intestino umano e di altri animali albergano comunemente ceppi di Escherichia coli non patogeni; mentre ne esiste un particolare ceppo (Escherichia coli enteroemorragica) che produce tossine dette verocitotossine (detto VTEC) o tossine Shinga, responsabili di colite emorragica e insufficienza renale. I dati relativi alle infezioni da E. coli enteroemorragica sono incompleti, ma tra il 1998 e il 2000 l’incidenza è risultata pari a 0,28 casi su 100.000 abitanti solo nella fascia 0-15 anni. La contaminazione del cibo (carne e latte bovino) avviene attraverso le feci dell’animale, ma anche tramite l’acqua. Il maggior fattore di rischio è rappresentato dal consumo di carne macinata di manzo cruda o poco cotta (hamburger disease), infatti, il principale serbatoio del ceppo è il tratto gastroenterico dei bovini, ma ne è stata dimostrata la presenza anche in carni di pollo, agnello e maiale. L’Agenzia Prevenzione e Ambiente dell’Emilia Romagna ha effettuato un’indagine sulle carni vendute nella provincia di Parma rilevando la presenza del batterio in 20 campioni su 23 (86,9%) di carne equina, in 41 su 51 (80,4%) di carne bovina e in tutti i campioni di carne di pollo e di carne suina (100%), segno di contaminazione fecale e in particolare la presenza di un ceppo VTEC nella carne di manzo. La conclusione dello studio è la necessità di sottoporre le carni a controlli più frequenti. Negli USA i CDC (Centres for Disease Control & Prevention) hanno stimato che E. coli enteroemorragica causa circa 73.400 malattie e 60 morti ogni anno.

• Staphylococcus aureus: finora considerato un problema ospedaliero, oggi i ceppi resistenti di Staphylococcus a. sono un fenomeno che interessa molti Paesi. In particolare, è stato identificato un clone, la cui origine non è nota, ma che di certo deriva da produzioni animali ed è presente in tutti i Paesi europei con elevata presenza di allevamenti industriali, rilevato a partire dal 2003. In uno studio italiano, ceppi meticillina resistenti di Staphylococcus a. sono stati rilevati in latte bovino, pecorino e mozzarella.

Le zoonosi descritte sono le più diffuse, ma molte altre sono le patologie che gli allevatori possono contrarre, con la conseguenza di contagiare altre persone. Nell’intestino umano e di altri animali albergano comunemente ceppi di Escherichia coli non patogeni e – sempre secondo l’EFSA – dal cibo contaminato possono derivare ceppi resistenti agli antibiotici che, in base a recenti studi, sono in grado di trasferire i loro geni anche ad altri batteri di altre specie, come quelli del genere Salmonella. Questo meccanismo – scoperto di recente – rende ancora più preoccupante e imprevedibile il fenomeno dell’antibiotico resistenza.

La Direttiva 2003/99/CE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 191/2006, sancisce l’obbligatorietà per gli Stati Membri di attivare un sistema di sorveglianza per l’antibiotico resistenza in agenti patogeni di origine animale e umana.

Le condizioni di vita degli animali negli allevamenti industriali sono responsabili del loro debole stato di salute, per ovviare al quale è necessario ricorrere spesso a farmaci, in particolare ad antibiotici. Senza tali preparati, non sarebbe possibile far funzionare alcun allevamento intensivo. Il primo antibiotico utilizzato nel settore allevamento, negli anni ’40, fu la penicillina. Di seguito, si scoprì che la streptomicina, aggiunta alla dieta dei polli, ne accresceva il peso. Con il passare degli anni e il decremento del costo degli antibiotici, il loro utilizzo come farmaci e come integratori per il loro effetto di promotori della crescita è andato aumentando. L’impiego degli antibiotici come promotori della crescita è stato vietato nell’UE in due momenti: nel 1999 e nel 2006.

Secondo la FAO entro il 2050 i consumi di carne raddoppieranno. Oggi si calcola che gli animali allevati sulla Terra siano circa 10 volte gli umani: si contano 1.300.000.000 di bovini, 1.000.000.000 di suini, 1.700.000.000 di ovini e caprini, ben 52.000.000.000 di avicoli, 900.000.000 milioni di conigli, senza considerare altre ampie categorie come gli animali acquatici.

Raddoppiare questi numeri significa portare al collasso la Terra sotto il profilo ecologico e sanitario e, di conseguenza, anche economico, oltre che etico per il costo di miliardi di vite animali, In altre parole, i cittadini pagheranno sempre di più con la loro salute un metodo di produzione animale altamente rischioso: un tema che dovrebbe essere tra le priorità di coloro che si occupano di politica e di sanità, dal momento che una sana alimentazione è un’efficace sistema di prevenzione di numerose patologie. E’ indispensabile e improcrastinabile riconvertire il sistema alimentare attuale verso un sistema ‘sostenibile’ iniziando dal non considerare più gli animali come cibo, né come cibo indispensabile perché così non è: proteine, carboidrati, vitamine, sali minerali e benefici grassi sono ampiamente disponibili nel mondo vegetale (per informazioni: www.cambiamenu.it).