Vegetariani: questione di cervello. E di cuore
Uno studio condotto dai ricercatori dell’Unità di Neuroimaging Quantitativo dell’ospedale San Raffaele di Milano ha dimostrato che chi non mangia carne né pesce e ha escluso in parte o completamente, come i vegani, l’utilizzo di derivati animali (latte, formaggi, uova), ha un’attività cerebrale di condivisione sia che a soffrire siano uomini sia che siano animali. Ciò significa che il cervello dei vegetariani è più sensibile alla sofferenza di uomini e animali rispetto a chi mangia carne. Ovvero non consumare carne e derivati animali è una questione di cervello e non solo di cuore.
Lo studio è stato coordinato da Massimo Filippi e Mara Rocca, e ha coinvolto 20 soggetti onnivori, 19 vegetariani e 21 vegani durante la visione di immagini di esseri umani o animali in situazioni di sofferenza. Gli scienziati hanno evidenziato, tramite risonanza magnetica funzionale, che rispetto a soggetti onnivori, i vegetariani e i vegani presentano una maggiore attivazione di aree del lobo frontale del cervello associate allo sviluppo e alla percezione di sentimenti empatici, indipendentemente dal fatto che le scene di sofferenza prevedessero il coinvolgimento di umani o di animali.
La scelta vegetariana e vegana è diventata un tema di grande attualità, non solo sotto il profilo etico e scientifico-nutrizionale, ma anche ambientale. Tra gli studi che indicano come necessaria la riduzione della produzione e del consumo di carne per contenere la pressione che questo sistema produttivo esercita sull’ambiente in termini di inquinamento e di consumo di acqua, vi è anche un recente rapporto del Programma dell’Onu per l’Ambiente (Unep) in cui si sostiene che il futuro del Pianeta dipende da quali cibi deciderà di mettere nel piatto e quale energia impiegherà.
Confermando la tesi che la LAV sostiene da sempre, anche attraverso la campagna Cambiamenu, l’Unep sostiene che sono energia ed agricoltura, in particolare l’alimentazione degli animali da allevamento per la carne e i prodotti caseari, i due settori che hanno un “impatto sproporzionato sulle persone e sui sistemi alla base della vita sul Pianeta”. Anche secondo questo rapporto Onu, i prodotti agricoli, in particolare per l’allevamento degli animali, impiegano oltre la metà di tutte le colture mondiali. La produzione agricola, inoltre, porta via il 70% delle risorse di acqua dolce e il 38% delle terre utilizzate. La produzione di cibo causa il 19% delle emissioni di gas serra e il 60% dell’inquinamento da fosforo e azoto, oltre ad un 30% dell’inquinamento nocivo in Europa.
Dunque, il fattore chiave per garantire un futuro sostenibile è la produzione di cibo: una sostanziale riduzione degli impatti negativi sul Pianeta – e sugli animali mandati al macello – è possibile solo con un cambio di alimentazione, alla larga dai prodotti animali! Per saperne di più visita www.cambiamenu.it
Nella fotografia un allevamento intensivo di polli “da carne” in Italia. Foto Tommaso Galli per LAV