“Mucca pazza”: allarme davvero finito?
Il commissario europeo alla salute John Dalli ha recentemente dichiarato che l’Europa sta per uscire vincente dalla lotta contro l’encefalopatia spongiforme bovina (Bse), indicando come determinati le misure restrittive introdotte dall’UE. Tra queste cita la messa al bando della bistecca fiorentina, ritornata però sul piatto degli italiani già nell’aprile 2008.
Secondo il commissario Dalli è il momento di lanciare una nuova riflessione, su una seconda road map di misure da realizzare progressivamente dal 2010 al 2015, senza tuttavia mettere in discussione gli obiettivi fondamentali: “Sradicare la malattia e proteggere i cittadini”. Basti pensare – secondo quanto riferito da agenzie di stampa – che dagli oltre 37mila casi di mucca pazza del 1992 in Europa, concentrati quasi tutti in Gran Bretagna, si è passati ai 67 del 2009, di cui 18 in Spagna, 11 in Inghilterra 10 in Francia, 9 in Irlanda, 8 in Portogallo, 4 in Polonia e due casi in Italia, al pari di Germania e Repubblica Ceca.
Ma l’allarme “mucca pazza” è davvero finito? Secondo la LAV, considerando che il periodo di incubazione della malattia è particolarmente lungo (dai 10 ai 20 anni) e prendendo in esame l’insieme complessivo dei bovini affetti da Bse individuati in Italia, ovvero ben 139 (fonte Ministero della Salute) dal 2001 ad oggi, è quanto meno prudente affermare che non bisogna abbassare la guardia e che le misure introdotte in piena emergenza Bse devono essere mantenute. Queste misure di salvaguardia, infatti, erano gravemente assenti nel recente passato: il divieto dell’uso delle farine animali nell’alimentazione dei bovini, il test obbligatorio su tutti i bovini di età superiore a 24 mesi e su quelli malati o sottoposti a macellazione d’urgenza, l’eliminazione degli organi a rischio Bse dalla catena alimentare; l’introduzione, dal gennaio 2002, di un sistema obbligatorio di etichettatura delle carni bovine in circolazione sul mercato, che consente di conoscere l’origine della carne acquistata con riferimento agli Stati di nascita, di ingrasso, di macellazione e di sezionamento, nonché un codice di identificazione che rappresenta la carta d’identità dell’animale.
Non va dimenticato che dal 1996 a oggi sono stati denunciati casi di contagio umano, mortali, da “mucca pazza” in Gran Bretagna, Francia, Canada, Irlanda, Italia, Stati Uniti. Ma anche i Paesi dell’Est non sono immuni dalla malattia: in Giappone il primo caso di mucca pazza nei bovini è stato denunciato nel settembre del 2001 e da allora sono stati trovati almeno 14 casi di questa malattia.
A preoccupare, poi, sono anche le nuove forme di “mucca pazza” e non senza fondamento visto che, il cervello di una capra francese si è rivelato positivo alla Bse: si tratta del primo caso in assoluto scoperto in una capra macellata nel 2002 e dopo oltre due anni di ricerche. Chi può escludere che il contagio si sia esteso ad altri animali? In Canada alcuni ricercatori avrebbero scoperto che questo morbo, in circostanze particolari, potrebbe trovarsi anche in tessuti bovini finora ritenuti refrattari all’infezione e quindi immessi nel circuito alimentare perché considerati “sicuri”. Finora si riteneva che gli organi bovini da evitare fossero il cervello, il midollo spinale, i tessuti del sistema nervoso, i nodi linfatici e gli organi coinvolti nel sistema immunitario come la milza. Le nuove ricerche, inizialmente condotte perfino su topi e poi ripetute su pecore – esperimenti crudeli e scientificamente non attendibili perché i risultati possono essere molto variabili da specie a specie – porterebbero alla conclusione che organi come il fegato, il pancreas, i reni, potrebbero essere portatori delle proteine del morbo. Una cosa è certa: il proliferare di studi, condotti anche su animali di specie diverse dai bovini, è indice del grado di preoccupazione che il morbo desta in tutto il mondo per i suoi potenziali effetti devastanti e per gli aspetti ancora non noti della malattia e delle sue possibili varianti.
Sempre a proposito di rischi sanitari connessi alla Bse e di inutile sperimentazione animale, ricordiamo che solo nel 1993 il ministro della Salute Costa sospese il farmaco Cronassial, spacciato come miracoloso per alcune patologie del sistema nervoso, ma già dagli anni ’80 al centro di polemiche e ritirato dal commercio in altri Paesi per i gravi effetti collaterali che causarono alcuni decessi: era prodotto con cervello bovino. Il nostro Consiglio Superiore di Sanità lo riabilitò ma poi, scoppiato l’allarme “mucca pazza”, il farmaco venne finalmente ritirato dal commercio: solo in Italia decine di migliaia di persone sono state “curate” con questo estratto di cervello bovino, inutilmente sperimentato su svariati animali.
Chiediamo, dunque, al commissario europeo alla salute John Dalli di mantenere la massima allerta sul problema Bse. Inoltre, poiché in Italia e in Europa il consumo di proteine animali negli ultimi decenni è sensibilmente aumentato, non senza rischi per la salute umana, sollecitiamo la Commissione Europea a incentivare campagne d’informazione sull’alimentazione priva di ingredienti animali: una scelta sana e di alto valore etico (per maggiori informazioni: www.cambiamenu.it).