Scandalo diossina nei mangimi. Produzione e consumo: questione di etica, non solo di ‘etichettatura’
Ieri eravamo terrorizzati dal morbo della “mucca pazza”, scatenato dall’uso, poi vietato, di farine animali nell’alimentazione dei bovini, che solo pochi giorni fa ha portato alla morte, a Livorno, un’altra donna italiana dopo altri morti nel mondo e molte migliaia di bovini abbattuti; oggi la Germania, e non solo, trema per lo scandalo delle uova e dei mangimi animali contagiati da diossina a causa di una società tedesca che avrebbe mescolato acidi grassi industriali, contenenti diossina, con oli vegetali per mangimi. Evidentemente neppure i grandi scandali come “mucca pazza” hanno insegnato che produzione e consumo sono questione di etica e non possono essere ridotti semplicemente a un problema di etichettatura dei prodotti.
Le modalità di produzione del cibo hanno importanti implicazioni sanitarie, ambientali ed etiche, che non si dovrebbero mai trascurare quando si sceglie cosa acquistare e consumare quotidianamente. La quasi totalità dei prodotti di origine animale reperibili nei circuiti della grande distribuzione proviene da allevamenti intensivi, fortemente orientati alla produttività e dove gli animali sono considerati unicamente “prodotti” da immettere sul mercato. In realtà si tratta di esseri viventi, ma quasi mai sono considerati come tali, il cui consumo viene erroneamente spacciato come indispensabile: è questo il nodo del problema. Le farine animali o i grassi industriali con diossina dati in pasto agli animali, sono solo alcuni degli aspetti più deleteri e insensati dell’industria della carne, almeno per chi non vuole sapere che i bovini da ingrasso sono costretti pressoché all’immobilità, i polli sono allevati in 10-15 per metro quadro, per 30 giorni su 40 della loro breve vita immobili sui loro escrementi; le mucche da latte raggiungono al massimo i 7/8 anni di vita contro i 40 che vivrebbero in natura; le scrofe raggiungono i circa 2 anni contro i 18 in natura, milioni di pulcini maschi vengono uccisi ogni anno perché inutili alla produzione di uova; nelle strette gabbie di batteria le galline non hanno la possibilità di aprire le ali né di muoversi o di vedere la luce naturale. Senza contare milioni di tonnellate gli animali acquatici destinati al consumo umano, uccisi per asfissia dopo una muta agonia, il 50% dei quali provenienti dall’acquacoltura.
Al di là del più trasparente sistema di etichettatura che possa indicare il paese d’origine della bistecca o delle uova, piuttosto che il mese/anno di macellazione o il sistema d’allevamento, sono quelle le drammatiche condizioni di vita e di morte imposte a miliardi di animali fatti nascere per il consumo alimentare umano: un consumo non necessario e non più non più sostenibile anche per motivi ambientali (consumo di acqua, inquinamento, ecc.). Il sistema produttivo e dei consumi va dunque ripensato secondo un’etica più rigorosa e rispettosa della vita altrui (animale, umana, del Pianeta) e tutti possono cominciare a farlo attraverso le personali scelte quotidiane, preferendo già oggi un’alimentazione cruelty free, cioè priva di ingredienti animali ma completa, nutriente e salutare, come quella sostenuta dalla LAV con le tante proposte pubblicate su www.cambiamenu.it e su www.lav.it.