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Pellicce, LAV: studio conferma alto impatto ambientale

23 febbraio 2011 0 commenti
L’impatto ambientale del commercio di pellicce animali (nello specifico di visone***) è nettamente maggiore rispetto a quello di altri prodotti tessili di largo consumo (cotone, acrilico, poliestere, lana): lo conferma un nuovo studio (“The environmental impact of the fur production, realizzato da Ce Delft) i cui risultati sono diffusi in Italia dalla LAV (www.lav.it) proprio in occasione dell’apertura della settimana della moda 2011, a Milano.
Mentre l’industria della pellicceria propone sempre più spesso la pelliccia animale come un prodotto “naturale”, “green”, “rispettoso dell’ambiente”, la LAV dimostra che, oltre a non essere un prodotto etico (in quanto comporta l’uccisione di molti milioni di animali), la pelliccia non può essere considerata nemmeno un prodotto ecologico.
I RISULTATI DELLO STUDIO
In sintesi, lo studio ha rilevato che sono necessarie 11,4 pelli di visone per produrre 1kg di pelliccia, quindi più di 11 animali e considerato che un singolo visone necessita di circa 50kg di cibo durante la sua breve vita, occorrono ben 563kg di cibo per la produzione di un solo chilo di pelliccia.
Nonostante la fase di concia e trattamento abbiano un ruolo importante nella determinazione dell’impatto ambientale (per via dell’impiego di sostanze tossiche e cancerogene come la formaldeide, il cromo, la naftalina, ecc.) da questo studio emerge che la fase di alimentazione dei visoni risulta essere un fattore dominante in 14 effetti ambientali dei 18 presi in esame (il mangime dei visoni, composto da frattaglie ed altri scarti dell’industria del pollame e del pesce, oltre a farine, viene congelato in lastre e così mantenuto sino alla somministrazione agli animali, con anche un inevitabile ingente consumo di energia).
I risultati dimostrano che la produzione di un chilo di pelliccia animale (visone) determina un maggiore impatto per 17 su 18 effetti ambientali presi in esame, tra i quali il cambiamento climatico, l’eutrofizzazione e le emissioni tossiche, rispetto alla produzione di un chilo di altri prodotti tessili quali cotone, acrilico, poliestere (riciclato e vergine) e lana.
In molti casi la pelliccia è risultata essere marcatamente peggiore dei tessuti, con impatti da 2 a 28 volte più elevati, anche quando venivano considerati valori bassi per i diversi anelli della catena di produzione. L’unica eccezione è stato il consumo di acqua: per questo impatto il cotone ha avuto il punteggio più alto.
Altri fattori che contribuiscono in modo ragguardevole all’impatto ambientale complessivo delle pellicce di visone comprendono le emissioni di N2O (monossido di azoto) e NH3 (ammoniaca) provenienti dalle deiezioni dei visoni. Queste emissioni contribuiscono principalmente all’acidificazione e alla formazione di materiale in sospensione.
Circa l’effetto ambientale “cambiamento climatico”, l’impatto di 1kg di pelliccia di visone è 4,7 volte superiore a quello del tessuto con punteggio maggiore (lana). Questo è dovuto sia all’alimentazione per i visoni che alle emissioni di N2O delle deiezioni dei visoni.
Peraltro, le conclusioni cui è giunto questo studio fanno riferimento allo scenario che rappresenta il livello più basso di impatto ambientale nella produzione di un chilogrammo di pelliccia di visone, e in base ai risultati ottenuti, si può affermare con certezza che la pelliccia animale costituisce l’opzione meno preferibile, comparata con i più comuni prodotti tessili.
La pelliccia sintetica (che generalmente è composta dal 72% di fibre acriliche e dal 28% di cotone), o comunque abiti in cotone, acrilico, poliestere (ma anche lana) hanno un impatto ambientale decisamente inferiore alla pelliccia animale.
Oggi sono sempre più numerose le fashion companies italiane e straniere che operano nel settore della moda e che dimostrano attenzione ai problemi ambientali, come il problema delle fonti energetiche e delle emissioni di CO2.
“I risultati di questo studio – commenta Simone Pavesi, responsabile nazionale LAV settore pellicce – forniscono un ulteriore documentato motivo a supporto della necessità di un’assunzione di responsabilità sociale alla quale le imprese più lungimiranti che operano nel settore della moda non possono sottrarsi, e che porti a una progressiva ma rapida dismissione dell’uso delle pellicce animali; così come è doveroso che ogni cittadino-consumatore segua, nelle decisioni d’acquisto, un comportamento responsabile per il rispetto degli animali, dell’ambiente e di se stessi: la pelliccia animale è un prodotto da bandire non solo sul piano etico perché condanna a morte milioni di animali, ma anche per il bene dell’ambiente”.

L’impatto ambientale del commercio di pellicce animali (nello specifico di visone***) è nettamente maggiore rispetto a quello di altri prodotti tessili di largo consumo (cotone, acrilico, poliestere, lana): lo conferma un nuovo studio (“The environmental impact of the fur production”, realizzato da Ce Delft) i cui risultati sono diffusi in Italia dalla LAV proprio in occasione dell’apertura della settimana della moda 2011, a Milano.

Mentre l’industria della pellicceria propone sempre più spesso la pelliccia animale come un prodotto “naturale”, “green”, “rispettoso dell’ambiente”, la LAV dimostra che, oltre a non essere un prodotto etico (in quanto comporta l’uccisione di molti milioni di animali), la pelliccia non può essere considerata nemmeno un prodotto ecologico.

I RISULTATI DELLO STUDIO

In sintesi, lo studio ha rilevato che sono necessarie 11,4 pelli di visone per produrre 1kg di pelliccia, quindi più di 11 animali e considerato che un singolo visone necessita di circa 50kg di cibo durante la sua breve vita, occorrono ben 563kg di cibo per la produzione di un solo chilo di pelliccia.

Nonostante la fase di concia e trattamento abbiano un ruolo importante nella determinazione dell’impatto ambientale (per via dell’impiego di sostanze tossiche e cancerogene come la formaldeide, il cromo, la naftalina, ecc.) da questo studio emerge che la fase di alimentazione dei visoni risulta essere un fattore dominante in 14 effetti ambientali dei 18 presi in esame (il mangime dei visoni, composto da frattaglie ed altri scarti dell’industria del pollame e del pesce, oltre a farine, viene congelato in lastre e così mantenuto sino alla somministrazione agli animali, con anche un inevitabile ingente consumo di energia).

I risultati dimostrano che la produzione di un chilo di pelliccia animale (visone) determina un maggiore impatto per 17 su 18 effetti ambientali presi in esame, tra i quali il cambiamento climatico, l’eutrofizzazione e le emissioni tossiche, rispetto alla produzione di un chilo di altri prodotti tessili quali cotone, acrilico, poliestere (riciclato e vergine) e lana.

In molti casi la pelliccia è risultata essere marcatamente peggiore dei tessuti, con impatti da 2 a 28 volte più elevati, anche quando venivano considerati valori bassi per i diversi anelli della catena di produzione. L’unica eccezione è stato il consumo di acqua: per questo impatto il cotone ha avuto il punteggio più alto.

Altri fattori che contribuiscono in modo ragguardevole all’impatto ambientale complessivo delle pellicce di visone comprendono le emissioni di N2O (monossido di azoto) e NH3 (ammoniaca) provenienti dalle deiezioni dei visoni. Queste emissioni contribuiscono principalmente all’acidificazione e alla formazione di materiale in sospensione.

Circa l’effetto ambientale “cambiamento climatico”, l’impatto di 1kg di pelliccia di visone è 4,7 volte superiore a quello del tessuto con punteggio maggiore (lana). Questo è dovuto sia all’alimentazione per i visoni che alle emissioni di N2O delle deiezioni dei visoni.

Peraltro, le conclusioni cui è giunto questo studio fanno riferimento allo scenario che rappresenta il livello più basso di impatto ambientale nella produzione di un chilogrammo di pelliccia di visone, e in base ai risultati ottenuti, si può affermare con certezza che la pelliccia animale costituisce l’opzione meno preferibile, comparata con i più comuni prodotti tessili.

La pelliccia sintetica (che generalmente è composta dal 72% di fibre acriliche e dal 28% di cotone), o comunque abiti in cotone, acrilico, poliestere (ma anche lana) hanno un impatto ambientale decisamente inferiore alla pelliccia animale.

Oggi sono sempre più numerose le fashion companies italiane e straniere che operano nel settore della moda e che dimostrano attenzione ai problemi ambientali, come il problema delle fonti energetiche e delle emissioni di CO2.

“I risultati di questo studio – commenta Simone Pavesi, responsabile nazionale LAV settore pellicce – forniscono un ulteriore documentato motivo a supporto della necessità di un’assunzione di responsabilità sociale alla quale le imprese più lungimiranti che operano nel settore della moda non possono sottrarsi, e che porti a una progressiva ma rapida dismissione dell’uso delle pellicce animali; così come è doveroso che ogni cittadino-consumatore segua, nelle decisioni d’acquisto, un comportamento responsabile per il rispetto degli animali, dell’ambiente e di se stessi: la pelliccia animale è un prodotto da bandire non solo sul piano etico perché condanna a morte milioni di animali, ma anche per il bene dell’ambiente”.

IL METODO DI RICERCA
“The environmental impact of the fur production” è il titolo dello studio commissionato alla società olandese Ce Delft (organizzazione non-profit che dal 1978 opera nel campo della ricerca e della consulenza specializzata nello sviluppo di soluzioni strutturali e innovative nell’ambito di problemi ambientali) per effettuare un’analisi dell’impatto ambientale della produzione di pelliccia animale e comparare quindi i risultati con l’impatto conseguente alla produzione di altri prodotti tessili.
CE Delft ha elaborato un’analisi del ciclo di vita (LCA – Life Cycle Analysis) della produzione di pelliccia, che ha permesso di quantificare l’impatto ambientale nelle varie fasi di produzione.
L’analisi è suddivisa in due parti:
determinazione dell’impatto ambientale della produzione di pelliccia in relazione a 18 differenti effetti ambientali, al fine di comprendere in quali fasi della catena produttiva di pelliccia si registra il maggiore contributo all’impatto ambientale;
comparazione con l’impatto causato da altri prodotti normalmente utilizzati nell’industria dell’abbigliamento: cotone, acrilico, poliestere, lana.
Lo studio LCA fa riferimento all’impatto ambientale conseguente alla produzione di 1kg di pelliccia rispetto a quanto ne deriva dalla produzione di 1kg di altro prodotto tessile, e considera la pelliccia ricavata da animali di allevamento, in quanto l’85% della produzione mondiale di pellicce proviene da questa filiera. Più precisamente il focus dello studio è sulla produzione di pelliccia di visone*** in Olanda, il terzo paese produttore a livello mondiale.
Le fasi analizzate della catena di produzione, sono quelle che vanno dalla produzione dell’alimento per i visoni fino alla produzione di 1 chilogrammo di pelliccia per l’uso nell’industria della moda, ovvero: alimentazione (composizione e stoccaggio); crescita degli animali e rendimento in pelliccia; trattamento del letame (emissioni ed uso); macellazione e trattamento delle carcasse; preparazione della pelle; trasporto per vendita all’asta. Non rientrano invece nello studio il confezionamento di abiti (cappotti, giacche, colli..) e i prodotti utilizzati per il mantenimento delle caratteristiche del prodotto finale, ciò per ragioni di comparabilità con gli altri prodotti tessili.
La metodologia di ricerca, si basa sul metodo del Life Cycle Assessment (LCA) tramite il quale è stato creato un modello della catena di produzione di pelliccia, utilizzando il software SimaPro, appositamente progettato per la creazione di modelli di cicli di vita e definizione dell’impatto ambientale di un prodotto.
Il database principale utilizzato è Ecoinvent, il più conosciuto ed affidabile database oggi disponibile per questi studi.
La valutazione degli impatti del modello di catena di produzione della pelliccia animale, è stata effettuata con il metodo ReCiPe: un metodo sviluppato nel 2008 ed ampiamente impiegato per la valutazione degli impatti relativi alle emissioni.
Il metodo ReCiPe determina 18 effetti ambientali, tra cui: cambiamento climatico, impoverimento dello strato di ozono, formazione di particolato, tossicità per l’uomo, eco-tossicità, acidificazione, eutrofizzazione del suolo e dell’acqua; oltre a consumo di acqua e occupazione del suolo.
Per approfondimenti: www.lav.it