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Cancun can, yes woman can!

11 dicembre 2010 0 commenti

Inizio a scrivere questo blog mentre sono ancora fresca della lettura dei
documenti presentati dalla presidenza messicana dopo 48 ore piene di
negoziato, e ho ancora nelle orecchie l’ovazione che Patricia Espinosa ,
Presidente della Conferenza delle parti sul Clima, ha ricevuto. Tre minuti
con la sala in piedi: che differenza con lo scorso anno a Copenaghen! Eppure
ancora non è finita, perché proprio mentre gli ambientalisti cominciavano a
valutare gli elementi positivi del testo (impegno sulla riduzione dal 25 al
40% come indicato dal panel degli scienziati delle Nazioni Unite, l’impegno
sul secondo periodo di Kyoto, anche se con un giro di parole, l’accordo
sulla misurabilità delle azioni dei paesi sviluppati e in via di sviluppo,
il riferimento a un accordo legalmente vincolante e, tra luci e ombre, il
testo sulle foreste e sulla finanza) e le tante carenze e gap da colmare, è
giunta la notizia che la Bolivia vuole bloccare il testo e negoziarlo.

Chi ha esperienza di queste cose sa che un testo del genere è il frutto di
un lavoro fatto col bilancino, se si comincia a tirare la corda da una
parte, e lo si fa troppo forte, gli altri cominciano a tirarla dall’altra e
il rischio è perdere pezzi o, nella peggiore delle ipotesi, fa crollare
tutto il castello. Poi in plenaria sembra piuttosto che si voglia discutere
più approfonditamente, quasi per lasciare alla Bolivia una via di uscita.
Ma la Bolivia va avanti nell’ostruzionismo, non si capisce se per sincera
volontà di migliorare il testo o per ansia di assumere un ruolo
internazionale in un contesto in cui si sa che c’è la voglia di risollevarsi
dalla delusione di Copenaghen. Tutti i delegati insistono per chiudere
subito, e una ministra donna (del Kuwait!) lancia lo slogan: “CANCUN, YES
WOMEN CAN” (riferendosi alla brillante mediazione condotta da Espinosa). Ma
il tira e molla andrà avanti sino alla 4 (ora locale) e finirà per
un’interpretazione delle regole dell’ONU che prevedono sì il consenso, ma
non possono permettere a un singolo Paese di bloccare la volontà del mondo
intero (i numeri erano Bolivia contro 193 Paesi).

Un’interpretazione che peraltro non è nuova sul clima (nella COP 6 bis di
Bonn del 2001, cui ero presente, si decise di proseguire col protocollo
nonostante l’opposizione degli USA di Bush). Stavolta l’intenzione era
diversa, ma impedire che si ritrovasse la fiducia nella possibilità del
multilateralismo di affrontare una sfida di enorme portata come quella dei
cambiamenti climatici sarebbe stato un suicidio. Siamo davanti a un classico
caso in cui la rigidità ideologica, il tutto subito, il massimalismo
rischiano di far perdere del tutto la possibilità di fare passi in avanti.

Per chi crede che si possano accettare obiettivi intermedi, se si ha ben
chiaro il risultato finale cui si tende, stanotte è stata una bella notte.

Ma i negoziatori avranno ancora molto lavoro da fare nei prossimi mesi per
garantire un accordo globale a Durban, in Sud Africa il prossimo anno.
Dovremo assistere alla creazione di una leadership più forte da parte
dell’Unione Europea e di altri paesi come India e Cina riguardo alla forma
legale di un eventuale risultato che dovesse essere raggiunto. L’UE e gli
altri paesi dovranno inoltre potenziare i rispettivi impegni per la
mitigazione per chiudere il divario tra gli impegni per la riduzione delle
emissioni attuali e ciò che è necessario fare per raggiungere l’obiettivo
condiviso della limitazione del riscaldamento globale ai di sotto dei 2°C.