Prima di tutto il clima e le persone
La protesta di oggi a Rio de Janeiro organizzata da una quindicina di attivisti di Greenpeace che hanno aperto un grande striscione calandosi da un ponte a Rio de Janeiro, è per inviare un messaggio ai leader del mondo riuniti al G20 di Londra. Se l’agenda politica è tutta centrata sulla crisi finanziaria, la protesta cerca di ricordare come la salvaguardia del clima e delle foreste non può essere lasciata ai margini. Le risposte per la crisi climatica possono essere integrate con quelle economiche – investendo massicciamente in fonti rinnovabili ed efficienza e creando occupazione – se si giungerà ad un accordo globale. Già oggi, è utile ricordarlo, il settore delle rinnovabili occupa in Germania più di quanto faccia l’industria dell’auto in quel Paese.
Già alla riunione europea dei ministri delle finanze, 350 attivisti fi Greenpeace arrestati dopo una protesta per chiedere un impegno finanziario per finanziare l’accordo sul clima. Se alle banche in pochi mesi i Paesi europei hanno dato 1.700 miliardi di euro, la quota richiesta per consentire un accordo finanziando le misure nei Paesi in via di sviluppo ammontano a 35 miliardi all’anno. Si tratta di mettere sul piatto il valore di un cappuccino in confronto a una cena da 63 euro. (http://www.greenpeace.org/italy/news/bruxelles-azione-clima).
A Bonn, nel frattempo, sono in corso i negoziati tra 129 Paesi per la seconda fase del Protocollo di Kyoto che vedrà un momento importante a dicembre 2009, nella Conferenza di Copenhagen. Se dovesse passare la proposta di commercializzare le quote di foreste come crediti alle emissioni (le quote di CO2 assorbite dalla foreste nello stesso mercato dei permessi di emissione) si avrebbe un crollo dei prezzi dei “permessi di emissione” di CO2 e dunque una vanificazione dello strumento, secondo i risultati un rapporto commissionato da Greenpeace. (http://www.greenpeace.org/raw/content/international/press/reports/the-economics-of-redd-summary.pdf). Solo con un prezzo alle emissioni di CO2 è possibile finanziare le tecnologie più pulite ed efficienti e barattare la possibilità di emissioni a fronte della protezione delle foreste significa indebolire i meccanismi già insufficienti per sviluppare le politiche del clima. Proteggere le foreste è essenziale ma senza abbattere il prezzo della CO2 .
La possibilità di ridurre le emissioni puntando su efficienza e rinnovabili esiste, ma richiede un quadro globale di riferimento e uno sforzo congiunto delle maggiori economie industrializzate e anche una partecipazione dei Paesi di nuova industrializzazione. La quota di investimenti in tecnologie verdi incluse nel pacchetto di stimolo dell’economia USA, proposta dal Presidente USA Obama va nella giusta direzione. E anche la proposta di mettere al centro la questione nei prossimi vertici internazionali: risposta alla crisi economica e alla crisi climatica possono andare insieme.
Il nostro Presidente del Consiglio, invece, chiede un “patto sociale” per combattere la disoccupazione – proponendo in Italia l’ennesimo assalto al territorio col piano casa – mentre i suoi senatori firmano una mozione che nega la crisi climatica, su argomenti vecchi e sconfessati dal dibattito scientifico, cosa che neanche Bush nell’ultimo periodo aveva più proposto.
La crisi economica è profonda ma come tutte le crisi presenta anche delle opportunità: che la Fiat esporti la sua tecnologia negli USA è segno di un cambio radicale di paradigma (auto piccole e meno emissioni invece delle auto spreca-benzina americane) che ribalta quello che fino a ieri si pensava dovesse succedere (General Motors che acquisiva la Fiat e il suo mercato). Ma nemmeno questo cambio epocale viene compreso dal nostro piccolo Bush. Invece di promuovere un piano nazionale per le fonti rinnovabili e per l’efficienza, il governo continua a blaterare di nucleare e a negare l’evidenza. E quando il Presidente USA propone di fare in Italia un summit della svolta sul clima, preferisce cambiare discorso.