Le navi tossiche. Nuovo rapporto di Greenpeace
Traffici di rifiuti pericolosi dallo snodo italiano, nell’area mediterranea e verso l’Africa.
Nel nuovo rapporto “The toxic ships” (Le navi tossiche) Greenpeace Italia ha ricostruito il quadro dei traffici di rifiuti pericolosi e radioattivi che dall’Italia sono stati inviati – per lo smaltimento selvaggio o per essere affondati con “carrette del mare” – nei Paesi dell’area mediterranea e in Africa. Numerosi i casi di esportazione illegale di rifiuti pericolosi: alcuni sono stati bloccati grazie alle denunce di Greenpeace e di altri soggetti, mentre in altre occasioni questi carichi pericolosi sono spariti, a volte “dispersi” in mare.
Il fatto che ancora oggi si scoprano traffici di questo tipo è la dimostrazione del fatto che la Convenzione di Basilea – che proibisce l’esportazione di rifiuti pericolosi da Paesi OCSE a Paesi non OCSE – è lungi dall’essere applicata. La stessa Agenzia ambientale europea ha presentato nel 2009 un rapporto “Waste without borders” (Rifiuti senza frontiere) che solleva ancora una volta il caso.
Il rapporto è stato elaborato in lingua inglese per consentirne la massima diffusione a livello internazionale (L’Espresso, che ha presentato il rapporto in esclusiva, ne ha fatta una traduzione in italiano disponibile nella pagina dell’articolo online).
Così nel rapporto, per la prima volta vengono diffuse foto risalenti al 1997 (ricevute dal GIP di Asti), che dimostrano come centinaia di container di dubbia provenienza siano stati interrati nell’area portuale di Eel Ma’aan in Somalia, a trenta chilometri da Mogadiscio, un porto costruito da imprenditori italiani. Le indagini si sono poi interrotte (e archiviate) a causa della grave instabilità politica che ha segnato in questi anni la Somalia.
Il rapporto – nel quadro della ricostruzione delle attività svolte da Greenpeace sul tema – elenca numerosi casi e dimostra come, in questi anni, si sia sviluppato il traffico illegale di rifiuti pericolosi e radioattivi che, da attività individuali, si è andato organizzando in una “rete” di cui nomi di persone e imprese sono spesso stati segnalati a investigatori e magistrati.
Un altro elemento di novità riguarderebbe il caso più recente della ricerca in mare, 2009, del presunto relitto della “Cunski”, al largo di Cetraro. Per convalidare le osservazioni della Procura di Palmi effettuate a settembre, nell’ottobre del 2009 il governo italiano ha utilizzato una nave per le ricerche sottomarine, la “Mare Oceano” di proprietà della famiglia Attanasio da cui è risultato che il presunto relitto della “Cunski” – nave che risulterebbe essere stata smantellata in India – altro non sia che il Catania, nave da guerra italiana affondata nel 1917.
Greenpeace promuove – assieme a una decina di associazioni ambientaliste, della società civile, della ricerca e della pesca – l“Osservatorio per un Mediterraneo libero da veleni che lo scorso febbraio ha sollevato diverse obiezioni rispetto alla versione data dal governo italiano sulla questione di Cetraro. Emergono infatti chiare discordanze sulla localizzazione del relitto: quello monitorato dalla nave Mare Oceano – identificato in base a carte nautiche tedesche della Prima Guerra Mondiale – appare distare oltre 6 km da quello rinvenuto dalla Regione Calabria, sul contenuto delle stive del relitto (vuote, secondo il rilevamento della Mare Oceano, piene invece secondo il rilevamento della Procura) e sulla apparente incompatibilità strutturale del relitto che pare di fattura troppo “moderna” per essere compatibile con quello una nave (il Catania) varata nel 1906.
Greenpeace ha elementi per affermare che il Ministero britannico della Difesa avrebbe offerto in via informale mezzi e personale qualificato per le ricerche ma che queste sarebbero state rifiutate (nonostante l’offerta fosse a un prezzo inferiore rispetto a quello proposto dai proprietari di Mare Oceano). Non è nota la ragione per cui l’offerta britannica sarebbe stata rifiutata così come i termini del contratto della Mare Oceano, mentre è noto che Diego Attanasio sarebbe coinvolto nel caso “Mills-Berlusconi”. Il Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo ha seccamente smentito Greenpeace, che invece ribadisce le sue affermazioni.
Dopo tanti anni il recupero di relitti con carichi pericolosi potrebbe essere difficile o troppo rischioso, dati i processi di corrosione che avvengono sott’acqua. E’ tuttavia necessario ristabilire in modo trasparente la verità, coordinare tutte quelle istituzioni che a vario titolo si sono occupate di queste vicende per preparare e mettere in pratica le azioni necessarie a identificare e bonificare i relitti delle “navi tossiche” eventualmente identificate.