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Fukushima, mon amour

30 marzo 2011 0 commenti

Per anni ci hanno ripetuto la litania che Cernobyl era stato figlio dell’errore umano e di una tecnologia sovietica assai più insicura di quelle occidentali, senza il guscio di contenimento che resistesse a un incidente e piena di grafite che, incendiandosi, aveva peggiorato le cose.  Le tracce di Plutonio riscontrate a  Fukushima significano che alcune delle barre di combustibile (si presume quelle del combustibile irraggiato presenti nella piscina del reattore 4) sono seriamente danneggiate; i livelli di Iodio-131 sono elevatissimi sia nel sito che a mare, è stato rilevato anche il Cesio-137. Una emissione di radioattività che ha provocato piogge radioattive negli USA (Massachissets)  e tracce di radioattività in Cina (da Shangai a Pechino) e perfino in Europa e Italia pur se in quantità assai basse.

Dunque l’incidente che non poteva succedere è successo anche ai tre reattori dell’americana General Electric, del tipo BWR (ad acqua bollente) la stessa tecnologia del reattore di Caorso e delle due unità in costruzione a Montalto di Castro (poi cancellati dal referendum del 1987) .

I reattori, a causa del blackout seguito al terremoto e alla messa fuori uso dei generatori diesel d’emergenza, ono andati fuori controllo e, al momento in cui scriviamo, la situazione rimane ancora del tutto imprevedibile e lungi dal trovare una soluzione: le autorità giapponesi cercano solo di continuare a raffreddare reattori e piscine per evitare che la situazione peggiori. Ma la strada in cui si devono uovere è stretta: continuando a mettere acquia di mare (e acido borico per assorbire in parte i neutroni della fissione) rischiano di far uscire molta radioattività a mare (i reattori con ogni evidenza “persono” acqua).  La situazione già di per sé di gravità estrema, è peggiorata dal fatto che nel reattore 4, svuotato dalle barre di combustibile, la piscina in cui sono state messe le barre irraggiate, si trova fuori dall’edificio del reattore e rilascia grandi quantità di radiazioni che hanno reso difficilissima l’opera degli operatori – veri eroi che rischiano dosi elevatissime – costringendo a più riprese l’evacuazione del centro.

Nel 2006 in Svezia a Forsmack a seguito di un blackout, non dovuto ad alcun terremoto, il reattore andò completamente fuori controllo per 23 minuti. Infatti, i primi due generatori diesel d’emergenza erano risultati inutilizzabili perché danneggiati da un corto circuito, e solo attivandone un terzo la situazione è stata recuperata in tempo. Dunque la “ridondanza” dei sistemi di emergenza – una caratteristica dei reattori di generazione 3+ – riduce certo la probabilità che certe catene di eventi si verifichino, ma si tratta di probabilità, nessun reattore è “intrinsecamente sicuro”.

Secondo le valutazioni comparative effettuate da un esperto nucleare indipendente per conto di Greenpeace, basate sulle analisi dell’IRSN – Istituto francese di Radioprotezione  – e dell’Istituto austriaco di meteorologia ZAMG, la quantità di radiazioni emesse nei primi 10 giorni dall’inizio dell’incidente supera i 500 mila Terabequerel in Iodio-131 equivalente.  Questa quantità è sufficiente a farla classificare al massimo livello della scala INES – il 7° – come per Cernobyl. Anche se in quel caso i rilasci radioattivi furono assai superiori e coinvolsero molti più tipi di radioelementi – a Fukushima al momento si registrano gli isotopi radioattivi di  Iodio e Cesio, e tracce di Plutonio – la soglia per la classificazione al livello 7 è stata già superata (http://www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/rapporti/fukushima-report/).

Il team di radioprotezione di Greenpeace a 40 km da Fukushima

Il team di radioprotezione di Greenpeace a 40 km da Fukushima

Greenpeace ha inviato in Giappone una squadra di esperti che hanno riscontrato livelli pericolosi di radioattività a 40 km a nord ovest dell’impianto. Il governo giapponese ha detto che le misure di Greenpeace “non sono necessariamente attendibili”; in realtà i dati sono del tutto simili a quelli ufficiali riscontrati nella stessa zona, solo che l’interpretazione sul da farsi è diversa. I livelli registrati, infatti,  sono di 7-10 microSievert/ora, sufficienti a far superare la dose massima annuale consentita per la popolazione in pochi giorni.

Mappa misure effettuate da Greenpeace: http://maps.google.com/maps/ms?ie=UTF8&hl=en&t=h&msa=0&msid=216097317933419817421.00049f79dd8efb50bf317&ll=37.62946,140.581055&spn=0.761327,1.647949&z=9&source=embed

Un primo impatto (anche elettorael)  l’incidente lo ha generato in Germania dove la Merkel è stata in questi mesi aspramente criticata per aver concesso l’estensione della licenza di esercizio ai vecchi reattori, modificando un precedente accordo stipulato a suo tempo dal governo rosso-verde.  Qui c’è il punto più critico per l’industria nucleare che,  non riuscendo a costruire i nuovi reattori di generazione 3+,  sta puntando ovunque a far estendere le licenze di esercizio in modo da “resistere” il settore e produrre le risorse per finanziare la nuova generazione di reattori, che è ancora in mezzo al guado. Ma questa richiesta, far funzionare per sessanta anni reattori progettati per quaranta, dopo Fukushima è assai più difficile da far digerire. Si tratta di macchine e come tutte le macchine più invecchiano e più sono soggette a guasti. I test di stress, con cui l’industria nucleare cerca di salvare il salvabile, difficilmente convinceranno le opinioni pubbliche. In Germania è già trapelato che adottando i criteri più rigidi di sicurezza nucleare tutti i reattori tedeschi andrebbero chiusi.

In Italia, al di là delle dichiarazioni ridicole e minimizzatrici inizialmente fatte da varie autorità (Veronesi incluso) e dall’indecente posizione della Marcegaglia (rimangiare la moratoria appena si tranquillizza la situazione in Giappone), il governo sta andando in confusione. Il decreto per la moratoria di un anno non eviterà il referendum e, al momento, sembra rallentare la procedura di approvazione per evitare di avere il dibattito parlamentare due settimane prima del referendum del 12 e 13 giugno. Qualcuno dice che si sta pensando perfino a un decreto per abrogare la legislazione nucleare.

L’Italia non ha bisogno di nucleare. Già nel 2010 la Spagna copriva con le rinnovabili il 35% del fabbisogno elettrico, l’Italia il 21% circa. Le rinnovabili – che il governo sta cercando di soffocare nella culla – hanno un potenziale al 2020 di circa 100 miliardi di kilowattora all’anno aggiuntivi e potrebbero consentirci di raggiungere tra 10 anni il livello attualeche hanno oggi in Spagna. L’efficienza energetica ha un potenziale tecnico persino maggiore, di circa 140 miliardi di kilowattora all’anno risparmiabili. La somma fa circa 2 volte e mezzo quella del fantasmagorico piano nucleare del governo (13 mila MW e 100 miliardi di kWh all’anno), piano che, guardano la situazione attuale dell’industria nucleare di grande crisi, può essere credibile solo assumendo notevoli quantità di sostanze psicotrope.

Oggi è dunque in gioco, in Italia come altrove, il futuro energetico e ambientale del Paese e del pianeta: le soluzioni ci sono ma alcuni forti interessi (Enel, in Confindustria e nella politica) spingono verso una tecnologia del passato che non ha mai risolto i problemi che ha creato.