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Esproprio

13 maggio 2009 0 commenti

0806091211firma_costituzioneL’art. 43 della Costituzione della Repubblica Italiana dispone che a fini di utilità generale la legge possa “riservare o trasferire mediante espropriazione e salvo indennizzo allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese…”.

Memorabile fu in questa direzione l’intervento nei primi anni ’60 per la nazionalizzazione dell’energia elettrica con la costituzione dell’Enel. Questo esempio di statizzazione non fu certo il primo né l’unico. Come  può ricordare l’esistenza dell’IRI e dell’Eni insieme alle banche di interesse nazionale.

Epperò quell’articolo della Costituzione, in gran parte ora cancellato, da una ventata di privatizzazioni, conseguenti ai decreti Amato del ‘92, non è mai stato attuato, da nessun Governo repubblicano, per quella parte che fa riferimento  al trasferimento di imprese a “comunità di lavori o di utenti”.
Vediamo oggi in seguito alla crisi che ci sta gravemente coinvolgendo un improvviso ritorno dell’intervento dello Stato con immense ricchezze pompate nel settore bancario e industriale.

Sulla base di una gestione che vede i più accaniti liberisti convertirsi in sovvenzionatori con i soldi dei cittadini di coloro che hanno saccheggiato peraltro la base dell’economia. Che si ritrovano a gestire situazioni fallimentari con il denaro di tutti senza che lo Stato imponga loro particolari restrizioni o vincoli di destinazione a queste risorse. Sarebbe invece ora che questa occasione di trasferimento di risorse venisse utilizzata per un grande esperimento sociale e una grande innovazione.

Trasferire risorse non ai semplici detentori di azioni ma direttamente ai lavoratori di quelle imprese per avviare un grande processo di autogestioni in cui sia data la possibilità, dovuta del resto, ai lavoratori, di trasformarsi in soggetti attivi per una riconversione a un nuovo e diverso modello di sviluppo economico.
Si tratterebbe cioè in condizioni diverse di rimettere mano a quei progetti degli anni ’70 che –soprattutto in Svezia - avevano pensato a un graduale  trasferimento della proprietà privata azionaria a una proprietà sociale dei lavoratori.
Forse questo potrebbe essere il terreno di confronto e di discrimine per uscire dalla crisi economica non semplicemente con una nuova ristrutturazione neo-capitalistica, ma sulla base di un nuovo patto sociale e democratico, c sposti la proprietà dalle mani predatorie del privato o dirigistiche dello stato e del pubblico a quelle sociali dei lavoratori,
Un modo per ricordarci che non solo la Repubblica è fondata sul lavoro, ma che ancor di più l’impresa è una realtà che del lavoro è effetto e risultato. Insomma un modo per ridare centralità al lavoro e ai lavoratori. Ai veri creatori della ricchezza reale. Forse solo su questa base sarà possibile un grande piano del lavoro, dove il lavoro sia di tutti e torni ad essere la misura della nostra vita e del nostro tempo.
Perché ciò che sembra utopia è ora, in questo tempo di crisi, forse l’unico realismo.