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Non bastano tre leve per sollevare il futuro

22 luglio 2009 0 commenti

savemoneyLunedì 13 Luglio l’inserto economico del Corsera “Corriere Economia” ha pubblicato un articolo (o una pubblicità ??) a favore dei fondi pensione a firma del prof. Riccardo Cesari dell’Università di Bologna - già funzionario della Banca d’Italia e collaboratore del sito La Voce.info - che tesse lodi, applausi e incentivi alla loro sottoscrizione che nemmeno in banca o al sindacato fanno più.

La sollecitazione alla sottoscrizione che l’articolo fa, poggia su 3 leve che – a detta del professor Cesari - solleverebbero il futuro da pensionato dell’aderente al fondo: adesione tempestiva, versamenti più elevati e profili di investimento adeguati alla propria età.

Sulla carta, potrebbe non fare una grinza; si inizia subito a mettere da parte dei risparmi, mettendone inoltre da parte tanti alla volta e poi puoi scegliere man mano che arrivi a ridosso della Pensione una linea sempre più prudente. Sento già Mago Merlino che sfoglia il suo libro con le formule magiche. L’aspetto divertente e dissacratorio (… “una risata li seppellirà”) è che nella pagina successiva dell’inserto è pubblicata la resa dei fondi pensione chiusi. Un bagno di sangue e di soldi persi.

Per chi è entrato subito al lancio accelerato da parte del Governo di questi strumenti, invece che attendere, a chi preso dalla foga e dalle parole di molti gestori e professori e sindacalisti ci ha messo molti molti soldi della sua retribuzione e per chi con davanti ancora diversi anni ha scelto una linea bilanciata o azionaria…

Oggi quelle 3 leve non hanno trovato ancora un punto di appoggio e quindi non stanno sollevando un bel niente. Purtroppo. Ne abbiamo già parlato diverse volte su questo sito, per esempio qui oppure qui
E allora delle due l’una: da una parte non si capisce perché la crisi di rendimenti non può trovare, più o meno inaspettatamente, un’altra situazione come questa che stiamo vivendo oggi, fra un decennio, invece dell’auspicata (su che basi non si sa) e prevista crescita. Più denaro è stato accantonato, più l’eventuale perdita, procurerà danni, danni che non è detto siano, con il tempo residuo alla maturazione della pensione, colmabili, colmati.

Se io, per esempio, ho 100 e perdo il 50% vado a 50, se risale il tutto del 50% non torno a 100 ma al meno onorevole 75%. Non voglio fare apologia di pessimismo, ma giocarsi in “borsa” la propria pensione – oltre  a tutti gli aspetti etici che qui ora non prendiamo nemmeno in considerazione - non mi sembra una stupenda idea. Resto in più convinto che non sia il rendimento (atteso) l’elemento da tenere in maggior considerazione, ma il rischio assunto per cercare di raggiungerlo. E al lavoratore non gli vengono dati gli strumenti per gestirlo. Ne per i tempi, né per le informazioni.
Il tanto sbandierato contributo aziendale del datore di lavoro, un’altra voce che ha spinto molti ad aderire ai fondi – e molti a sollecitarlo come chiave di volta - è poca cosa in una vita lavorativa e finanziaria lunga. Le perdite del fondo possono essere ben più pesanti del vantaggio anche del risparmio fiscale. La durata media di 20/30 di investimento nei Fondi pensione è troppo ampia e lunga per metterci al riparo da pericoli e rischi.

Ci sono già stati negli anni crisi cicliche dei mercati finanziari, anche in Italia. Qualcuno sembra non essersene accorto ed ha scelto di aggrapparsi ad blocco di cemento con la speranza di non andare a fondo. Ma un aspetto paradigmatico degli articoli pro fondi pensione, a prescindere dall’autore, è che non si capisce perché non viene mai, ma proprio mai, avanzata l’ipotesi e la possibilità di provare a cambiarle le cose, sostenendo una “ripubliccizzazione” della pensione pubblica, (oggi tutti gli articoli pro fondi riportano come un mantra che fra 10, 20, 30 anni il tasso di copertura netto sullo stipendio per i lavoratori dipendenti passerà dall’attuale 80% al 72, 67, 63%). Si da sempre per assodato che così va il mondo perché cosi deve andare. No, per nulla, il mondo va così perchè ce lo lasciamo andare.