Una moto di lavoro
Vorrei sottrarvi alcuni minuti questa volta per parlare di lavoro partendo da uno specifico caso locale, vissuto - che si sta vivendo - sul mio territorio, per provare da questo ad allargarlo, a mutuarlo, in un discorso e ragionamento in termini più generali.
Sabato 19 c’è stata sotto la pioggia incessante una manifestazione di protesta per la precarietà del lavoro e l’incertezza del futuro di un’azienda del territorio lecchese. La moto Guzzi di Mandello del Lario, da 5 anni facente parte del gruppo Piaggio di Roberto Colaninno. Sono personalmente contento per la riuscita della manifestazione e del ventilato accordo che Colaninno dalle pagine del Sole24ore ha lasciato intendere di perseguire con la promessa di ritiro della cassa integrazione e del mantenimento e il rilancio della Guzzi in quel di Mandello. Anche se le subordinate a cui vincola le sue ipotesi sono legate a piani di ristrutturazione e agli incentivi governativi. Ristrutturazioni che con un linguaggio meno felpato si possono sempre tradurre in tagli all’occupazione. Così come i mancati incentivi si possono tradurre in cassa integrazione (quando va bene) o chiusura.
In realtà le dichiarazioni di Colaninno mi sembrano al massimo rinviare decisioni future che per la Guzzi di Mandello si presentano infauste. Tanto più che il settore delle 2-3-4 ruote è ormai un settore maturo e saturo che vedrà un calo della domanda di tipo strutturale e quindi necessiterà di ulteriori concentrazioni e quindi riduzioni di personale. Mi pare quindi necessario di fronte a uno scenario come questo alzare l’obiettivo del possibile. Soprattutto da parte del sindacato. Il tempo del pensiero unico che credeva il mercato autoregolamentarsi è finito. Gli equilibri macroeconomici tra domanda e offerta non paiono più configurarsi in modo meccanico. Anzi la condizione di disequilibrio sembra essere la regola con tutto quello che comporta in termini di disoccupazione.
Se una più equa redistribuzione del reddito ottenuta per via fiscale può essere utile per sostenere (e qualificare) la domanda dal lato dei consumi, magari introducendo un reddito base minimo per tutti, sganciato dal lavoro, sostituendo consumi collettivi a quelli individuali e rafforzando quindi il welfare, resta aperto il dubbio che sul lato degli investimenti , la domanda sia adeguata per contenere o perseguire un obiettivo di piena occupazione. Dubbio che è un semplice eufemismo a fronte dell’attuale situazione italiana e non solo. Detto altrimenti, è possibile percepire con la massima evidenza come il crollo degli investimenti, in una situazione di massima incertezza, non possa essere addebitato solo alle difficoltà del credito, ma a una difficoltà da parte delle imprese a investire quando viene meno una prospettiva immediata di profitto. Perché investire e dove se non c’è una prospettiva immediata di profitto? Questa è la questione di fondo. Che non ha carattere contingente ma è strutturale e appare più evidente in tempi di crisi. E’ quindi necessario un intervento dello Stato che si sostituisca, come imprenditore, alla impresa privata laddove questa non ha più interessi a investire perché i suoi orizzonti sono legati all’immediato. E’ necessaria insomma una riscoperta della centralità della impresa pubblica.
Una tale prospettiva può essere la base e il fondamento di una politica di programmazione che abbia per obiettivo di privilegiare quanto più possibile la domanda interna, riqualificare il nesso tra consumi pubblici e privati, ridefinire il rapporto tra pubblico e privato anche negli investimenti , darsi una politica industriale che abbia come obiettivo fondamentale la riconversione delle attività produttive mature e sature, valorizzando il saper fare delle maestranze in nuove attività, che ci traghettino verso i bisogni maturi e più sociali di una società post-post moderna. Detto in altro modo occorrono politiche economiche che abbiano come obiettivo permanente la piena occupazione e che richiedono al Sindacato il coraggio di un nuovo piano del lavoro adeguato a bisogni più maturi e consapevoli.
Insomma non c’è bisogno di un intervento dello Stato che finanzi il salvataggio delle Banche ottenuto attraverso lo smantellamento sistematico del welfare e la privatizzazione dei beni comuni. C’è invece bisogno di un intervento dello Stato che rilanci la domanda sul lato degli investimenti e dei consumi e si sostituisca ai privati quando gli investimenti dei privati o la loro direzione sono insufficienti per una politica di piena occupazione. Solo allora si potrà brindare per Mandello e la Moto Guzzi e per altri milioni di lavoratori. Non tanto e non solo per tenere in vita brand gloriosi ma per dar senso alle vite delle persone che nel lavoro trovano realizzazione umana e professionale. E che avranno comunque in quel caso la certezza di riconvertirsi ad altre attività magari più ricche e soddisfacenti.