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Accà nisciuno è “fisso”

27 ottobre 2009 0 commenti

1422Provo a rispondere allo stimolo lanciato su questo sito da Giulio Tagliavini che ci invita a commentare lo “scavalco a sinistra” del ministro Tremonti sul posto di lavoro fisso.
Credo che Tremonti, nella sostanza, non stia scavalcando nessuno, ma stia girando intorno.

Qualche giorno fa tutta la stampa italiana ha aperto con la notizia che il Ministro Tremonti elogia il posto fisso. Solo alcuni l’hanno spiegata in maniera lineare e contestualizza nel quadro politico odierno pieno di contraddizioni e latitanze. Contraddizioni di destra e latitanze a sinistra. Mi sia permesso qui, però, rimarcare un mancato auspicio; io come chiosa finale o meglio ancora come incipit, come il foglietto delle avvertenze dei medicinali, avrei scritto: “Quando il ministro dell’Economia esprime queste convinzioni, dovrebbe farle seguire dai fatti. Accà nisciuno è “fisso”. Cosa che non ho letto.

Perché va bene tutto ma, sino a ora, in questo ennesimo giro al Governo, Tremonti, ormai sulla breccia da anni, sta facendo, o permettendo, il contrario. Basta fare un poco di mente locale, leggere il libro Bianco sul Lavoro, ricordarsi che era al ministero dell’economia quando è stata varata la Legge 30, e, nel caso, domandare al ministro Sacconi. Ma basterebbe anche solo guardarsi in giro. Accorgendosi, se ce ne fosse bisogno, che a chiacchiere non risolveremo molto. Non faremo la rivoluzione né risolveremo i problemi della crisi economica. Che ha un unico indicatore di soluzione: far si che i cittadini lavorino tutti e che quantomeno possano nel passaggio da un lavoro all’altro fruire di un reddito continuativo. Di questo Tremonti non parla, e, peggio, tantomeno fa. Toglie, anzi, risorse che dobbiamo, in primis noi, ancor più vigorosamente documentare.

Mi stupisce sempre più che il Ministro abbia ancora credito nell’opinione pubblica. Non è vero che Tremonti abbia una continuità di coerenza. Gli attacchi “a quei templi del capitalismo che sono le banche” ne sono una riprova. Questi presunti attacchi sono come la sortita sul posto di lavoro fisso, chiacchiere. Ho avuto, su questo stesso sito, modo già di provarlo.

Ma per stare al tema. Le Leggi per incentivare, legittimare, il precariato, l’instabilità, lo sfruttamento dei lavoratori, Tremonti e questo Governo, grazie al lassismo o connivenza del centrosinistra e della sinistra radicale sono ancora tutte li. Eviterei di dar credito “preventivo” alle dichiarazioni del Ministro ma, anche con grande enfasi, segnalarne solo gli eventuali fatti conseguenti. Per altri versi poi, la contrapposizione posto flessibile-fisso è puramente nominalistica, ed è buttata lì per occupare tutto lo spazio del confronto politico identificabile in un mediatico gioco delle parti dentro la maggioranza. Sottraendo alla sinistra parlamentare, e non è difficile, ogni argomento eventuale da inarcare a sua bandiera. Una ragione ulteriore a sostegno di quelle tesi che pongono in un’effettiva ripresa del conflitto sociale la condizione per dare consistenza ed effettualità a obiettivi come quelli di un lavoro a tempo indeterminato o a una flessibilità garantita, mettendo a nudo il re e la sua propaganda.

In ogni caso questa contrapposizione “posto flessibile/fisso” spiega assai poco la situazione presente e soprattutto non ci dice come uscire dalla crisi. Dire posto fisso non vuole dire niente se non lo si inserisce dentro un problema di politica economica che a sua volta si regge su modelli alternativi di pensare il sistema economico. Chi, come in questi anni, economisti o giuslavoristi, sono partiti dalla flessibilità del lavoro, hanno in mente un modello economico in cui le determinanti del sistema vedono nel mercato del lavoro, libero da lacci e laccioli e da sindacati realmente esistenti, l’elemento causante e determinante gli equilibri sugli altri mercati dei capitale e dei beni e servizi. Il modello che volesse richiamarsi a un possibile “ritorno” al posto fisso deve invece far leva su un altro quadro concettuale. In cui il mercato del lavoro non è il motore primo. Ma piuttosto un risultato. Non una causa, ma un effetto. La disoccupazione è in sostanza l’effetto di qualcosa che sta a monte e che vede in una insufficienza della domanda effettiva il vero fattore causale. Domanda effettiva che è insufficiente in ragione dei bassi livelli di investimenti nel settore dell’economia reale, dovuti all’incertezza del futuro e alla strutturale incapacità di sistema che fa si che gli imprenditori possano andare oltre il limite che è costituito dal profitto.

Gli aspetti economici ed in particolare la correlazione fra stabilità lavoro - elasticità domanda aggregata è documentabile citando il caso della patria del capitalismo, gli U.S.A. Centinaia e centinaia di miliardi dati dalla Pubblica amministrazione alla finanza ma nessun vantaggio in termini di occupazione. Insomma il cavallo non beve.
E se l’impresa privata da sola non ce la fa, o meglio è impegnata in dismissioni, fusioni, centralizzazioni, in attesa di ricreare condizioni di profitto, è necessario che sia lo stato nazionale (e/o nel nostro caso l’Europa) che rimetta in moto l’economia. Non solo ripristinando un welfare universalistico ma facendosi esso/a perno di una programmazione che lo/a veda anche intervenire nell’attività economica, come imprenditore. Avendo come orizzonte i bisogni assoluti: acqua, cibo, case, trasporto, energia per tutti. E soprattutto lavoro. Un piano del lavoro - e sottolineo Piano- per la piena occupazione. Che si innesti su un processo di conversione da una economia della quantità, che ha raggiunto il suo capolinea con la crisi della civiltà dell’automobile, verso una economia della qualità della vita, che veda al centro la qualità dell’ambiente e la sua manutenzione.

Altrimenti anche le lotte di molti lavoratori in difesa della loro fabbrica, non rimarranno che testimonianza o casi positivi isolati. E l’unico posto fisso, sì, quando va bene, rimarrà quello in famiglia, chiusi nella disperazione e nella solitudine, assistiti da quel che resta di un residuo stato assistenzialistico. Insomma assistiti da un feroce capitalismo caritatevole. E poiché non credo in un ravvedimento di un (vecchio) politico, mi tengo il mio dubbio atroce: non si tratta per caso delle mosse di apertura per qualche partita di giro con l’opposizione su temi ben differenti del lavoro? Sono chiacchiere anche queste, certo, ma che brutto essere diffidente … e diffidare di un politico.