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E se li mettessimo al bando oltre frontiera?

4 novembre 2009 0 commenti

47E’ tempo di scudi fiscali dove tutti o quasi si indignano e molti, soprattutto in Lombardia, ne beneficeranno. Il Gruppo Banca Etica è stata l’unica realtà creditizia - assieme alla riminese Eticredito - a rifiutare di partecipare alla giostra. Ma non potrà farci nulla, malgrado la buona volontà, se questi soldi, dopo averli scudati, vengono girati in suoi prodotti.

Oggi, tra l’altro, non si hanno molti strumenti per combattere i paradisi fiscali, ma alcuni che vanno oltre la finestra di adesione allo Scudo-Ter possono essere esplicitati e proposti. E promuoverli sia in maniera operativa individuale che di diffusione nell’opinione pubblica e nella società civile organizzata.

Le Banche hanno sedi, filiali e diversi strumenti finanziari (obbligazioni, fondi, hedge, polizze) appoggiati in Stati con regime fiscale agevolato. Quasi il 50% (112 su 250) delle società quotate in borsa ed il 25% (22 su 88) dei gruppi bancari hanno partecipazioni, quasi sempre di controllo, in società residenti nei paradisi fiscali. Partendo da questa realtà mi sembra che su questo tasto vadano spese diverse energie, articolate e comuni essendo risorse di entità elevatissima investite/gestite dalle banche e con ritorni per nulla indifferenti. Per questo credo che vadano valutate due strade parallele per disincentivare l’utilizzo di questi Paesi da parte delle stesse.

La prima una campagna di pressione verso le banche, con gli stessi strumenti adottati da anni dalla Campagna Banche Armate e nuovi (pressione diretta dei cittadini con lettere e denuncia tramite ricerca e pubblicazione liste/dati;  coinvolgendo direttamente la società civile organizzata), dove chiedere l’impegno chiaro - con un ragionevole lasso di tempo, esplicitato e quindi misurabile - di non acquistare titoli e strumenti finanziari di società che hanno sedi, filiali, partecipazioni e altro nei paradisi fiscali. Per stare sull’esempio di Banca Etica e Etica Sgr, escludere quindi - come suggeriamo da tempo - dal portafoglio dei fondi comuni “Valori Responsabili” (e nei Fondi pensione da lei proposti) quelle società che hanno sedi ecc.. con questi Paesi.

Ovviamente vale ancor di più per le altre Istituzioni creditizie, che prodotti “sporchi” ne incrociano, quando non li creano loro stesse, molti di più e in diversi modi. A tutte le banche, non solo a Etica, nonchè per esempio ai sindacati con i loro fondi pensione, di non fare partnership o collaborazioni, tantomeno durature e strutturali con società, banche, imprese che, appunto, con i paradisi fiscali invece hanno deciso di operare e da cui vi traggono lucrosi guadagni.

Una seconda strada, parallela, è quella di far considerare alla politica, tramite una lobby pubblica, a livello nazionale ed europeo (facendoci affiancare per esempio da Febea) giuridicamente e finanziariamente nulle le società schermo con sede nei paradisi fiscali, utilizzate da un’infinità di aziende italiane e europee. Per esempio tramite:
- l’applicazione di  misure coercitive immediatamente effettive contro i paradisi fiscali, inclusi quelli europei, che porranno fine alla complicità del segreto bancario esagerato, e dei tempi di informazione  giudiziaria intollerabili;
- la modifica del sistema di autosorveglianza bancario delle transazioni finanziarie internazionali, verso una libera accessibilità giudiziaria ai dati del “clearing”;
- una Procura europea;
- un Corpus Juris (un insieme di disposizioni giuridiche) su questo crimine organizzato all’incontro dei cittadini, che includa: l’unificazione delle procedure di istruzione, e una effettiva collaborazione giudiziaria, la quale ridurrà i tempi di istruzione che sono ora sistematicamente superiori alla durata della prescrizione.