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Parliamo di pensioni?

16 novembre 2009 0 commenti

lamberto-diniProviamo a parlare almeno un poco di pensioni? In parole povere e schematizzando al massimo, visto che  il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha recentemente ripetuto che sarebbe bene aumentare l’età pensionabile? Ha un reddito troppo alto e una posizione di rendita altrettanto elevata per poter essere credibile, eppure, non mi sembra che si siano alzate le barricate.

Si sta invece cercando, sulla stampa, di trovare una o più giustificazioni. A volte ho l’impressione che gridando al gossip politico facciano passare sotto silenzio delle p…. mostruose e sempre sul gobbo dei lavoratori.

Provo a spiegarmi: chi andrà in pensione con il sistema determinato/retributivo - ovvero con una percentuale calcolata sulla media mensile degli ultimi dieci anni lavorativi (chi aveva almeno 15 anni di lavoro maturati al 31 dicembre 1992) - fa salti di gioia. Per chi invece ha iniziato a lavorare dopo il 1 gennaio 1996 e se ne andrà quindi in pensione con l’attuale sistema contributivo, venuto dopo la Riforma Dini, cioè con i soli soldi versati, aggiornati con il sistema “demenziale dei coefficienti” potrebbe avere delle sgradite sorprese.

Faccio prima una digressione e poi torno più chiaramente sui coefficienti. I salari nostrani sono i più bassi in Europa e lo si può controllare dove si vuole (ocse, ansa, istat, isae,…). Se da un lato ciò contribuisce ad un basso indice di disoccupazione (elemento positivo), dall’altro si introduce un elemento di “ingavonamento” che frena l’economia e le possibilità “tutte” della classe salariata del futuro (elemento negativo e discriminante). In questi giorni gli industriali “ventilano” la soppressione dell’IRAP per dare forza alle imprese; nessuno ventila l’adeguamento dei salari per dare stabilità alla domanda interna. Ma siamo totalmente impegnati – totalmente - a seguire il fumo, il gossip politico come unico argomento che non si può sperare diversamente. Dico questo perchè le future pensioni non vanno viste solo con gli occhi del pensionato, non solo a chi deve lavorare ulteriori 15 anni, ma ai figli di questa persona. Come faranno a mandarli all’università con stipendi o pensioni da fame?

Vogliamo introdurre una discriminante per la quale ai figli dei lavoratori dipendenti precludiamo il successo agli studi? Com’era in Italia ante 1969? Vogliamo anche dire che allungando l’età pensionabile, si aumenterebbero gli attivi e  diminuirebbero i pensionati ma, nel tempo stesso si frenerebbe, se non addirittura si ostacoli, l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani? Oltre al costo del lavoro, mal distribuito. I potenziali pensionati al lavoro i potenziali lavoratori invece a casa. Wow!

Allora tornando al centro del tema. Mi permetto di invitare a riflettere partendo dai coefficienti di adeguamento “zaini” previsti per chi va in pensione con il sistema “contributivo”. L’aumento dell’età pensionabile, andrebbe, almeno per il lavoratore dipendente, riletto in relazione di questi meccanismi di calcolo della pensione futura. L’applicazione dei cosiddetti «coefficienti di trasformazione», previsti già dalla legge Dini e mai applicati finora per la ferma opposizione dei sindacati, entreranno a regime – per colpa di questo Governo fintamente vicino ai lavoratori - il prossimo 1° gennaio. Cioè, si prendono i soldi che un lavoratore ha versato con i contributi, si rivaluta tutta questa somma detta anche “montante” con, appunto, un coefficiente, un moltiplicatore che è il risultato della media geometrica di cinque anni di PIL.

Attenzione perché, in altre parole, la media si calcola con i cinque valori che rappresentano il pil degli ultimi anni presi a riferimento e si moltiplicano tra di loro. E’ ovvio quindi che se uno solo di questi valori è negativo, e ahimé, nel 2009 il Pil è fortemente negativo, (-5,3%), il coefficiente è negativo. E l’assegno pensionistico perciò scende.

Conseguentemente, il peso di questa crisi – e quelle future - peserà (e non poco) sempre sui lavoratori e sui pensionati da lavoro dipendente, già ora in forte difficoltà a far quadrare i loro bilanci. Possibile che “geni” della politica non lo avessero previsto? Se poi ci aggiungiamo quello che è stato introdotto di recente con il decreto anticrisi dal ministro Tremonti facciamo filotto. Infatti oltre al PIL che scende, al coefficiente che non tutela, si è aggiunta la beffa, dal 2015 l‘età pensionabile aumenterà, lentamente ma automaticamente, in base all’aspettativa di vita media degli italiani. Ritardando, di fatto, il pensionamento. Non tenendo nemmeno conto, del tipo di lavoro che uno fa. Impiegato di banca o operaio alla catena di montaggio. Pari sono.

Applicando i nuovi coefficienti di trasformazione aggiornati ogni tre anni come prevede la legge sulla base delle stime demografiche, un lavoratore dipendente di 65anni con 30anni di contributi incasserà nel 2020 una pensione pari al 55,1% dell’ultimo stipendio (contro il 61% previsto nel 2010). Se lo stesso lavoratore dipendente ha raggiunto i 40anni di contributi, passa dall’81,6% dell’anno prossimo al 74,5% del 2020. Queste, di seguito, le parole del Ministro Sacconi che se ne fa vanto di coefficienti e allungamento della pensione: “Già dall’anno prossimo si calcola l’andamento dell’aspettativa di vita in modo che dal 2015 ci sia un aumento automatico corrispondente e proporzionale. Da allora ogni 5 anni ci sarà un adeguamento”.

E allora, sembra più che ovvio, che le soluzioni che stanno per propinarci e sponsorizzando - gli stessi fautori di questo disastro - siano, di nuovo, senza rimedio:
-alzare l’età pensionabile per aumentare il montante versato dal lavoratore con i suoi contributi. (Sto più al lavoro, pago per più tempo i contributi, avrò più soldi, forse).
-sostenere la corsa ai fondi pensione complementari.
A volte ho l’impressione che al grido “escort” facciano passare sotto silenzio delle porcate mostruose e sempre sul gobbo dei lavoratori. E allora oltre a bloccare l’entrata in vigore di questi coefficienti - l’INPS tra l’altro, va sottolineato, è in attivo per quasi l’1% del PIL, migliorando quindi anche il bilancio pubblico - va proposto, con forza, che questi calcoli, questi montanti, abbiano dei consolidamenti seri (con un minimo di Legge ben sostenuto) tale e quale le assicurazioni caso vita private. Perché i fondi pensione, lo vediamo bene in questi anni, è giocarsi la pensione in borsa. Lasciarla in mano al mercato, lo stesso che ha attori complici o artefici di questa crisi finanziaria è da folli.

Si tassino le corpose rendite finanziarie con la stessa cattiveria con cui lo si fa attualmente con il lavoro, si ritorni a sostenere, in termini di minor tassazione e di nuova priorità la pensione pubblica. Ne va del futuro. Bisogna essere perciò coscienti nel presente.