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Acqua. Gli italiani, come gli africani.

22 maggio 2009 0 commenti

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Leggevo da qualche parte che siamo ormai arrivati a un punto, in questo Paese, che se i politici rapinassero le gioiellerie non importerebbe nulla a nessuno. Non sappiamo più cosa dobbiamo arrivare a subire, perché ci sia un moto di ribellione, o almeno della sana indignazione civile.

Chissà, forse se i nostri concittadini che pensano solo al calcio e alle loro tasche sapessero che vengono considerati alla stregua di africani e fessi per giunta, magari qualcosa si smuoverebbe. Parlo di acqua, anzi ne parla Paolo Rumiz, uno dei più bravi corrispondenti di guerra italiani (dalla Bosnia a Kabul): occupandomene, dopo 35 anni di mestiere, ho provato lo stesso brivido della guerra dei Balcani.

Leggete il suo articolo, migliore di qualsiasi cosa possa scrivere io. Rumiz descrive esattamente la situazione della grande rapina dell'acqua in Italia, e molto correttamente mette in relazione l'esproprio delle risorse del Paese ai brutali sistemi coloniali che si sono verificati in Africa, dove popoli ignoranti, analfabeti, non coesi hanno supinamente accettato che ciò che era loro diventasse altrui, finendo col pagarlo e anche salato.

Il “Paese profondo” si è talmente indebolito che oggi l’atteggiamento predatorio che abbiamo rivolto prima verso la Libia o l’Etiopia e poi verso l’Est Europa, può essere rivolto verso l’Italia medesima senza il rischio di una rivoluzione.
Anche noi diventiamo discarica, miniera, piantagione.
E anche da noi i territori deboli sono lasciati completamente soli di fronte ai poteri forti. Come le tribù centro-africane.

Sapete trovare una differenza? La differenza tra la Campania e la Somalia, inquinate da ogni sorta di rifiuto speciale, diventate discariche di tutta Europa tra l'indifferenza degli abitanti che da anni vedono e tacciono (anzi, no: in Somalia almeno si sono dati alla pirateria, per farsi compensare); la differenza tra la Nigeria e la Basilicata, dove i petrolieri estraggono e inquinano senza nulla dare in cambio, a gente che si contenta delle briciole; la differenza tra Taranto e la periferia di Nairobi, dove persone irrilevanti muoiono per inquinamento da diossina o da piombo; tra la Val di Taro in Emilia e il Congo, entrambi spoliati delle loro risorse principali da gente senza scrupoli e nella compiacenza dei politici locali:

C’è una fabbrica di acque minerali che succhia dalle falde appenniniche in modo così potente che nei momenti di siccità gli abitanti del paese – noto fino a ieri per le sue fonti terapeutiche e oggi semi abbandonato – restano senz’acqua nelle condutture pubbliche.
C’è una protesta ma il sindaco tranquillizza tutti in consiglio comunale. (...)  L’acqua del paese è data già per persa, requisita dai padroni delle minerali. L’idea che si tratti di un bene pubblico e prioritario non sfiora né il sindaco né la popolazione rassegnata.

E neanche gli africani, probabilmente. E dov'è la differenza con l'Africa, in tutto questo?

Cementificazione dei parchi naturali
Requisizione delle sorgenti
Privatizzazione dell’acqua pubblica
Discariche e inceneritori negli spazi più incontaminati del Paese
Ritorno al nucleare
Grandi opere imposte con la militarizzazione dei territori e la distruzione di interi habitat
Fiumi già in agonia, disseminati di ulteriori centrali idroelettriche
Impianti eolici che stanno cambiando i connotati all’Appennino

Ci stanno trattando come africani, bisognerebbe spiegare al vicino indifferente, incurante, preoccupato della sua nuova auto e incazzato per gli sbarchi di gente sfigata, ma molto più simile a lui di quanto non pensi. Perché è gente che ha imparato a subire, che si è messa nelle mani di corrotti, che non conosce i propri diritti... esattamente come sta succedendo a noi.

Il dossier di un’azienda multinazionale finlandese descrive così una regione italiana del centro: “facilità di penetrazione, costi d’insediamento minimi, zero conflittualità sociale”. Soprattutto, “poche obiezioni ecologiche”.
Sembra il Congo, invece è Italia.

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