Rivolte in Iran. Considerazioni sparse.
Ho sempre amato l'Iran, non so neanch'io perché. E' un Paese che mi piace moltissimo. Per questo ho un viscerale rifiuto nei confronti della versione da sempliciotti che viene fornita sugli eventi di questi giorni. Non sono un'esperta di politica interna di Paesi altrui, però preferisco, a questo punto, la mia personale versione sempliciotta: almeno ha qualche base di informazione in più, rispetto a tutto quello che le nostre TV doverosamente tacciono. Ve ne rendo partecipi, e vi prego di considerarli pensieri in libertà.
- L'Iran è una democrazia. Piaccia o no, questo è. Avrà le sue anomalie, come il consiglio di preti che sorveglia tutto, ma in fin dei conti anche noi abbiamo l'anomalia televisiva e anche da noi i preti non se ne stanno certo defilati. Ma in Iran il processo democratico, specialmente quello elettorale, è sentitissimo ed a vivissima partecipazione popolare. Ci sono tanti partiti, sostenuti da migliaia di coinvoltissimi iscritti. Le adunate oceaniche che abbiamo visto non sono espressione di un regime, ma di un popolo che vive la politica con tutto se stesso. Uno dei motivi delle rivolte è proprio questa appassionata partecipazione.
- L'Iran è un Paese grande, con quasi 70 milioni di abitanti. Noi, in TV, vediamo sempre e solo Teheran, e qualche altra grande città. Ahmadinejad ha i suoi sostenitori in tutto il resto del Paese, mentre è più debole proprio nelle metropoli. Pensare che chi si ribella in città rappresenti la volontà del Paese è come pensare, vedendo i fatti di Genova, che l'Italia tutta si stesse sollevando contro Berlusconi.
- I brogli. Proprio perché l'Iran è una democrazia, quando si vincono le elezioni con un 20% di margine i brogli sono assai improbabili. Capiamoci: qua non siamo nella Bulgaria della cortina di ferro, dove sulla scheda trovavi scritto: "Voti per il dittatore, oppure preferisci andare in Siberia?". Qui si vota per chi si vuole. E truccare milioni di schede è quasi impossibile. Come sappiamo qui da noi, e sicuramente anche in USA, i brogli si possono agevolmente compiere solo quando il margine tra vincitore e sfidante è risicatissimo.
- L'insoddisfazione popolare. Come abbiamo più e più volte scritto qui, l'Iran ha un elevatissimo tasso di crescita demografica (è pieno di giovani) e un'alta alfabetizzazione (l'86%). Due caratteristiche che rendono un Paese a rischio rivolte, specialmente se è un Paese petrolifero e la gente si vede la benzina razionata per problemi di raffinazione. Inoltre, la discesa del prezzo del petrolio ha portato ad una pesante situazione economica. Ricordiamoci allora che le proteste quasi sempre vanno ricollocate nella situazione interna di un Paese, piuttosto che a cretinate come la volontà di levarsi il velo.
- La polizia. Vedere la polizia che massacra i manifestanti mi fa da sempre venire la pelle d'oca. Ma non si può, come fanno i nostri media, usare due pesi e due misure: in un Paese democratico, chi scende in piazza a spaccare tutto è considerato dallo Stato un eversore, e viene trattato col pugno di ferro. Come a Genova, come nelle banlieu parigine, come appunto a Teheran. Scandalizzarsi a compartimenti stagni è disgustoso. Quando si fa casino qui da noi "sono spaccavetrine che meritano il manganello", quando succede in Paesi meno simpatici diventano tutti martiri della libertà. Questa non è informazione, è propaganda.
- Moussavi. Non è mica l'Obama persiano, sia chiaro. E' un politico come ce ne sono tanti qui da noi: è in politica dal 1981, è membro del Consiglio della Rivoluzione, ex editore del giornale del Partito Islamico. Interessanti le sue proposte politiche: dare impulso alle privatizzazioni e liberalizzazioni, consentire la proprietà privata delle televisioni (finora solo statali), rallentare il programma nucleare.
- Le ingerenze straniere, ultima delle mie considerazione sempliciotte. Non ho certo la possibilità di stabilire se ci sono agenti occidentali a dirigere le rivolte. Ma non commettiamo l'ingenuità di ritenere tutti santi, caduti dal pero per lo stupore al volare del primo sasso. Il minimo sindacale, per un servizio segreto che si rispetti, è mantenere rapporti con l'opposizione del Paese che si desidera eventualmente destabilizzare, offrendo poi il massimo dell'appoggio logistico, informativo, informatico e tecnico non appena tale destabilizzazione ha qualche possibilità di concretizzarsi. Senza risparmio di mezzi ortodossi e non: se si tratta di fomentare l'opinione pubblica con astuzie, bugie e trappole non si guarda certo in faccia a nessuno. Teniamo presente anche questo.