Chi vuole i disastrati pozzi iracheni?
Avrete sicuramente sentito parlare dell'asta per i pozzi iracheni, curiosamente andata deserta. Molto si è discusso sui perché e percome: sicuramente ci sono dietro motivi inconoscibili di origine politica. Qualcuno sostiene che si tratti di un braccio di ferro per abbassare prezzi e pretese del governo; qualcun altro che si attenda una maggiore stabilità politica, e che si cerchi di non fare mosse importanti prima dell'ormai annunciato ritiro degli americani. Ci sono voci più curiose però, che voglio riportarvi. Non so quanto siano attendibili, e soprattutto quanto decisive, ma in ogni caso eccole: pare che la tecnologia irachena di estrazione, nel corso degli anni, abbia fatto "carne di porco" della maggior parte dei giacimenti.
Le riserve sarebbero irrimediabilmente compromesse da vari sistemi obsoleti:
Se il gas non viene usato per creare prodotti petroliferi, viene normalmente reiniettato per tenere alta la pressione durante l'estrazione, assicurando una più lunga vita al pozzo. Gli iracheni non lo fanno. Invece al sud, che ha l'80% delle riserve del Paese, si usa l'antiquato sistema della water injection (si inietta acqua) per mantenere la pressione.
Fin qui nulla di eccessivamente strano. Ma guardate invece cosa succede al Nord, dove si giunge... alla barbarie!
Il principale giacimento iracheno, Kirkuk, può aver sofferto danni irreparabili alle sue riserve come risultato delle iniezioni di carburante, residui di raffineria e altri derivati petroliferi durante gli ultimi 15 anni. I prodotti reiniettati ammontano a circa 1,5 miliardi di barili. Durante le sanzioni dell'ONU, l'Iraq per anni ha reiniettato gasolio dentro Kirkuk, per "riciclare" il prodotto in eccesso che non riusciva ad esportare legalmente o illegalmente.
Il risultato di iniettare tonnellate di olio combustibile dentro un pozzo di petrolio potete immaginarlo da soli. Alla fine si butta via tutto e buonanotte.
Attenzione: l'industria petrolifera è perfettamente in grado di gestire simili eventualità. Dopotutto, sono riusciti a resuscitare antichi pozzi, sfruttati nella prima metà del '900, ai quali era stato fatto di tutto. La questione, però, è sempre la medesima: ci vuole... un pozzo di soldi. Vale la pena allora? Considerando che le infrastrutture petrolifere irachene sono tenute insieme con colla e scotch?
Le compagnie occidentali, al momento, pensano di no. La Cina, invece, pensa che forse sì: e dopo aver acquisito i diritti per lo sfruttamento dell'importante giacimento di Rumaila, ha serie intenzioni di partecipare alla seconda asta irachena del prossimo autunno. Sanno qualcosa che noi non sappiamo? O semplicemente... hanno un sacco di dollari da spendere in tutta fretta?