La morte per gli animali
Non mi meraviglia affatto quindi che alcuni scienziati di un istituto di ricerca di Milano abbiano osservato in un gruppo di tursiopi (mammiferi marini simili ai delfini) la prova scientifica della capacità si soffrire per la morte di un figlio o di un compagno. In questo caso si trattava di una madre che per giorni ha accudito il corpo del piccolo morto chiamandolo e cercando di rianimarlo.
Si sa che i mammiferi marini sono molto intelligenti, e questa intelligenza purtroppo li espone a sofferenze che noi uomini conosciamo molto bene ma non vogliamo riconoscere negli altri animali.
Non tutti sanno infatti che un grande numero di delfini (e altri cetacei come stenelle, tursiopi, etc.) non muore perché direttamente catturati nelle reti, ma muore “indirettamente” per il dolore, la sofferenze o se preferite lo stress, per aver perso un figlio, un compagno o un genitore intrappolato nelle reti da pesca (questo dovrebbe bastare per fare tutto il possibile e anche l’impossibile per impedire che le reti da pesca si trasformino in trappole mortali per delfini, stenelle, capodogli, ma anche squali e tartarughe marine).
Io alcuni anni fa con i miei due cani ho fatto un’altra esperienza, che dimostra che la morte di un compagno è per alcuni animali è un vero e proprio lutto da elaborare e superare.
Quando nel 2000 morì il mio cane Fido, Tosca che per più di 10 anni ne era stata la compagna di vita, smise di mangiare, rifiutando qualunque cibo le venisse offerto ma anche le carezze alle quale si sottraeva spostandosi. Al terzo giorno Tosca scomparve dal giardino in cui aveva vissuto per tanti anni con Fido. Tornò spontaneamente dopo una settimana, disposta finalmente a mangiare e a farsi accarezzare. Aveva avuto bisogno di un distacco fisico e temporale per elaborare la morte del suo migliore amico.
Non stupiamoci più per favore della capacità degli animali di soffrire…è un’offesa alla nostra intelligenza e ai loro sentimenti.
Isabella Pratesi