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La morte per gli animali

12 ottobre 2011 0 commenti
Esistono due diversi gruppi sociali nella convulsa società umana: un gruppo è fatto di quelle persone che sentono un trasporto particolare per gli altri animali (generalmente dedicano le proprie cure ad alcuni animali “familiari” come il cane e il gatto) e un gruppo (purtroppo temo più ampio) di persone che sono del tutto disinteressate e ignorano gli altri animali .
Io mi sento di appartenere al primo. Ho sempre considerato i cani, ma anche i gatti e gli uccelli che vivono in città una vera e propria consolazione alla nostra vita urbana e stressante. Osservare il corteggiamento dei pappagalli a villa Borghese, accarezzare un cane dallo sguardo tenero e profondo o lasciare un boccone ad un gatto di strada sono piccole azioni quotidiane che mi danno piacere.
Proprio per questo mi sono sempre circondata di animali, grandi o piccoli, con squame o con pelo, con baffi o con piume e nel corso degli anni ho avuto diverse occasioni per toccare con mano la capacità di gran parte dei nostri amici di percepire tutto quello che gli scienziati si dannano a registrare scientificamente. Fra questi la capacità di capire il dolore, di soffrire per la morte di altri animali e di elaborare un lutto.

Non mi meraviglia affatto quindi che alcuni scienziati di un istituto di ricerca di Milano abbiano osservato in un gruppo di tursiopi (mammiferi marini simili ai delfini) la prova scientifica della capacità si soffrire per la morte di un figlio o di un compagno. In questo caso si trattava di una madre che per giorni ha accudito il corpo del piccolo morto chiamandolo e cercando di rianimarlo.

Si sa che i mammiferi marini sono molto intelligenti, e questa intelligenza purtroppo li espone a sofferenze che noi uomini conosciamo molto bene ma non vogliamo riconoscere negli altri animali.

Non tutti sanno infatti che un grande numero di delfini (e altri cetacei come stenelle, tursiopi, etc.) non muore perché direttamente catturati nelle reti, ma muore “indirettamente” per il dolore, la sofferenze o se preferite lo stress, per aver perso un figlio, un compagno o un genitore intrappolato nelle reti da pesca (questo dovrebbe bastare per fare tutto il possibile e anche l’impossibile per impedire che le reti da pesca si trasformino in trappole mortali per delfini, stenelle, capodogli, ma anche squali e tartarughe marine).

Io alcuni anni fa con i miei due cani ho fatto un’altra esperienza, che dimostra che la morte di un compagno è per alcuni animali è un vero e proprio lutto da elaborare e superare.

Quando nel 2000 morì il mio cane Fido, Tosca che per più di 10 anni ne era stata la compagna di vita, smise di mangiare, rifiutando qualunque cibo le venisse offerto ma anche le carezze alle quale si sottraeva spostandosi. Al terzo giorno Tosca scomparve dal giardino in cui aveva vissuto per tanti anni con Fido. Tornò spontaneamente dopo una settimana, disposta finalmente a mangiare e a farsi accarezzare. Aveva avuto bisogno di un distacco fisico e temporale per elaborare la morte del suo migliore amico.

Non stupiamoci più per favore della capacità degli animali di soffrire…è un’offesa alla nostra intelligenza e ai loro sentimenti.

Isabella Pratesi