La finanza etica come energia economica
Stasera, a Fidenza nell’ambito della Fiera energia ed Ambiente (si gioca in casa…) verrà presentato il “Manuale del risparmiatore etico e solidale. L’appuntamento è alle 18 nei locali dela libreria “La vecchia talpa” in via Gramsci. A compendio un estratto dell’introduzione al Manuale fatta da Ercole Ongaro, del Git di Cremona, e il programma completo della manifestazione (qui)
«La figura del risparmiatore è ormai obsoleta nella nostra società. Figurarsi il risparmiatore “etico e solidale”, a cui Gallicani ha dedicato un “Manuale”[...]. La pubblicità in questi giorni ha cominciato a lanciare uno spot prenatalizio: “Per un Natale senza rinunce” [a nessuno dei possibili e agognati consumi]. Tutti i messaggi che ci avvolgono, non solo quelli pubblicitari, si compendiano in due comandamenti: primo, non ridurre i consumi; secondo, pur di non ridurre i consumi, ricorri al credito (che è tale per la Banca, ma per il consumatore è un debito). Insomma, l’essenziale è non invertire la rotta del nostro modello di sviluppo, del nostro stile di vita. Modello di sviluppo e stili di vita si collocano nella cornice del nuovo corso del capitalismo, che ha fatto irruzione dagli anni ‘90, il capitalismo finanziario, la finanziarizzazione dell’economia.
Ma alla radice degli squilibri economici e finanziari, e delle ricorrenti crisi, degli ultimi 20 anni sta proprio questo capitalismo drogato, che al profitto prodotto dal lavoro ha preferito il profitto ricavabile dalle operazioni finanziarie, soprattutto quelle speculative. Non più una finanza finalizzata a supportare l’economia reale, ma una finanza del tutto slegata dai bisogni delle persone, dalla produzione di beni e servizi. Il denaro, la finanza, hanno cessato di essere uno strumento per produrre un bene o un servizio ricavandone un proporzionato profitto oppure per acquistare un bene o fruire di un servizio: il denaro, la finanza, sono diventati un fine. “Questa è la filosofia della finanza contemporanea – affermava Massimo Cacciari in un dibattito organizzato dalla FIBA CISL Brianza nel dicembre 2002– la sua straordinaria mobilità, il suo essere internazionale, al di là di ogni determinatezza di spazio e di tempo. (…) Nel mondo moderno si persegue la finalità di avere sempre più denaro, perché è nel denaro in sé che riconosco la mia potenza di essere ovunque, di potere qualunque cosa, di essere al di là di ogni determinatezza di spazio e di tempo. Quelle in cui invece nascono, crescono e crepano i comuni mortali” (in Alberto Berrini, “Le crisi finanziarie, ed. Monti 2008, p. 208).
Ma a questa finanza non basta essere sciolta da ogni determinatezza di spazio e di tempo, vuole anche essere in senso etimologico “assoluta”, cioè sciolta da ogni regola, seza legami, senza confini, senza impedimenti, senza controlli. Una finanza assolutamente libera, ossia l’apice, il compimento del liberismo, che è il neoliberismo, l’ideologia neoliberista. Su “Il Sole 24 ore” del 6 aprile 2008 è comparso un articolo dal titolo: “Questa crisi figlia dell’ideologia”, autore George Soros, il più famoso tra i finanzieri. Scriveva Soros: “Negli ultimi 25 anni le autorità finanziarie e le istituzioni da esse regolate si sono fatte guidare da un fondamentalismo di mercato: la convinzione che i mercati tendano all’equilibrio. Tutte le innovazioni degli strumenti finanziari si sono basate su questa convinzione. Le innovazioni [in tema di finanza] sono rimaste senza regole perché le autorità sono convinte che i mercati siano in grado di regolarsi da soli. Le autorità hanno risposto a ogni nuova crisi finanziaria solo dopo che era già avvenuta. Non sono state in grado di prevederle perché sono schiave della falsa dottrina del fondamentalismo di mercato. Hanno bisogno di un nuovo paradigma, un nuovo modo di pensare” (ibidem, p. 138).
All’analisi di Soros aggiungerei che, dopo quello che è continuato ad accadere in questi ultimi due secoli di storia economica dell’Occidente capitalistico, non credo più alla buona fede di chi si dice oggi convinto “che i mercati siano in grado di regolarsi da soli”, che ci sia la “mano invisibile” del mercato ad armonizzare la ricerca degli interessi privati con il benessere generale. Lo dicono perché sono dalla parte di quelli che ne approfittano e non si curano per nulla di quello che che avviene agli altri, di quelli che sono esclusi dai vantaggi, naufraghi nella risacca dei cicli economici.
Tra le conseguenze più negative di queste ricorrenti crisi finanziarie vi è la distruzione della fiducia, elemento base delle relazioni, anche di quelle economiche e finanziarie. Ma per ricostruire la fiducia è necessario che l’economia finanziaria si ancori a regole ferme e trasparenti, a valori quali l’interesse generale, la riduzione delle diseguaglianze, la promozione delle pari opportunità, la solidarietà con i più svantaggiati, la simbiosi con l’economia di un territorio, la difesa dell’ambiente per tutti, la crescita culturale e umana di tutti. Va evidentemente abbandonato il mito dello “shareholder value”, secondo cui compito primario ed esclusivo di un’impresa, produttiva o finanziaria, sia quello di massimizzare il valore per l’azionista.
I valori accennati sono a base di quel variegato mondo che è la finanza etica, alla cui conoscenza ci introduce il testo di Marco Gallicani, che nel sottotitolo specifica: “Un’altra finanza per investire e risparmiare i propri soldi nel rispetto delle persone e dell’ambiente”. Un’altra finanza, una finanza etica appunto, di cui Gallicani richiama nella premessa i punti fondamentali espressi in un manifesto del 1998: globalità dell’accesso al credito (il credito è un diritto umano), contrarietà alla speculazione, radicamento nell’economia reale, trasparenza e partecipazione. Gallicani, oltre a presentare sinteticamente i diversi soggetti attivi nella finanza etica, ci tiene a chiarire la differenza con le iniziative etiche spurie sorte in campo finanziario: molte banche tradizionali, perfino quelle compromesse con il commercio di armi, si sono dotate - a fini puramente cosmetici - di una serie di prodotti che hanno denominato “etici”, per offrire un alibi ai propri correntisti, per darsi un’immagine di eticità e dissuadere il risparmiatore-investitore dal farsi domande su come un guadagno è stato ottenuto, in quale tipo di attività sono investiti i suoi risparmi. Questi falsi fondi etici delle banche tradizionali sono assimilabili al fenomeno della cosiddetta “filantropia di impresa”, che la esenta da una vera responsabilità sociale . Basti considerare che “la Lehamn Brothers distribuiva annualmente oltre 27 milioni di dollari al non profit, eppure violava sistematicamente i valori di una impresa a responsabilità sociale” cui una Banca dovrebbe attenersi (Stefano Zamagni, ”Il Sole 24 ore”, 11 novembre 2008, p. 2).»
Ercole Ongaro