Un’altra occasione mancata
Continuano a essere molto diffuse sui mass media le valutazioni che danno come prossima la fine della crisi, anche se negli ultimi giorni sembra si stia facendo avanti qua e là qualche opportuno dubbio in proposito.
In realtà, si può affermare che stiamo forse assistendo al superamento del punto più critico per quanto riguarda l’andamento del sistema economico a livello mondiale, mentre sembra scongiurato - almeno per il momento - il crack del mercato finanziario; si può ora sperare, ma giusto solo sperare, che si manifesti una leggera ripresa, sostenuta dal ciclo delle scorte, che devono essere un po’ rimpinguate perché erano scese ad un livello troppo basso nei mesi del panico.
Ma dopo questa ripresa, che non dovrebbe andare molto lontano, è plausibile che si configuri, almeno per alcuni anni, una situazione di sostanziale stagnazione dell’economia, sia pure tra possibili alti e bassi. Una linea di tendenza dalla quale dovrebbero peraltro essere esclusi paesi come la Cina e l’India, che - dopo un momento di sbandamento - marciano ora di nuovo spediti sulla strada dello sviluppo, anche se almeno per quest’anno a ritmi meno sostenuti del passato. Così la crescita cinese dovrebbe forse raggiungere quest’anno l’8%, mentre quella indiana all’incirca il 6%. Le dimensioni delle due economie sono tali da portare qualche benefico effetto di trascinamento a favore dei paesi asiatici vicini, ma purtroppo insufficienti ad influenzare in maniera importante le economie del resto del mondo.
Per quali ragioni non è prevedibile per la gran parte dei paesi del pianeta una ripresa più consistente? Ostano sulla strada dello ritorno dello sviluppo molti ostacoli importanti.
Il primo è costituito dai problemi che si possono registrate dal lato della domanda. Negli ultimi dieci anni il motore principale della crescita economica del mondo è stato costituito dai consumi delle famiglie statunitensi, che ora però devono fare i conti con un eccessivo livello di indebitamento; quindi esse dovrebbero (come hanno in effetti cominciato a fare) tendere a risparmiare, frenando le spese per i consumi per almeno qualche anno.
Il secondo ostacolo fa riferimento all’esistenza di un grande sbilanciamento commerciale e finanziario tra paesi esportatori e paesi importatori, sbilancio che a suo tempo ha generato quell’eccesso di liquidità che ha permesso il mantenimento di un alto livello di consumi e ha alimentato tutte le bolle speculative di questo mondo.
Va poi considerato che, per far fronte alla crisi, i governi di molti paesi sono ricorsi nell’ultimo periodo a grandi spese, le cui conseguenze si traducono ora in imponenti deficit di bilancio e in elevati livelli di debito pubblico, fattori che nei prossimi anni potrebbero portare a rilevanti negative conseguenze per tutti i cittadini, con l’effetto, tra l’altro, di una contrazione delle spese per la sanità, la scuola e più in generale per le attività sociali.
Resta anche inoltre sulla scena, anche se per il momento in qualche modo governato, il problema del sistema bancario, con tutti i suoi titoli tossici, le necessità di ricapitalizzazione, le restrizioni del credito alle imprese. Parallelamente, anche se ormai i progetti in proposito cominciano ad essere numerosi, ancora nulla è stato fatto sul fronte di un nuovo sistema di regolamentazione e supervisione del settore finanziario, anch’esso un passo necessario per provare ad uscire dalle secche della crisi in maniera più equilibrata e giusta di prima.
Su questo ultimo fronte abbiamo perlomeno ora a disposizione i progetti messi a punto dal governo degli Stati Uniti e dall’Unione Europea e può essere opportuno provare a dare una sommaria valutazione degli stessi, riservandoci di ritornare sul tema in futuro.
Abbiamo già dato una valutazione piuttosto in chiaroscuro del progetto Usa relativo alle nuove regole per i mercati e i prodotti derivati. Il progetto di riforma del sistema finanziario varato a metà del mese di giugno da Obama ha sicuramente qualche merito; introduce, tra l’altro, una maggiore protezione dei consumatori per quanto riguarda i prodotti e le istituzioni finanziari e affida alla Fed compiti di sorveglianza accresciuti; in particolare, essa si occuperà di controllare la stabilità sistemica dell’area finanziaria.
D’altro canto, la proposta di legge evita di semplificare il sistema di supervisione sull’area finanziaria, oggi affidata ad una miriade di enti, a volte in conflitto tra di loro. Il potere delle varie lobbies appare a questo proposito troppo forte. Non si è neanche tornati alla separazione tra banche commerciali e banche di investimento che era richiesta da tante parti. Non viene inoltre affrontato in maniera adeguata il problema della regolamentazione degli enti non bancari. E si potrebbe continuare a lungo sull’analisi critica del provvedimento. Si può quindi parlare di un progetto che fa qualche passo in avanti, ma certamente non a sufficienza. Ma se Atene piange, Sparta certamente non ride e anzi le proposte avanzate a livello di Unione Europea sullo stesso tema sono certamente ancora meno incisive di quelle statunitensi.
Nel caso del nostro continente, tra le proposte avanzate c’è quella di creare un consiglio per la sorveglianza del rischio sistemico, progetto che assomiglia in qualche modo all’analoga proposte statunitense. Ma le similitudini con gli Stati Uniti si fermano qui. Tale organismo, al contrario che nel caso statunitense, nasce come molto debole, chiaramente in maniera deliberata, dal momento che i nostri ministri delle finanze non vogliono certo perdere nessuna delle loro prerogative. Al di là di questo, niente di concreto, in particolare, ma non solo, per l’opposizione della Gran Bretagna a misure incisive per il timore che la City possa perdere una parte dei suoi affari. E questo nonostante lo stesso Governatore della Banca d’Inghilterra abbia insistito più volte sulla necessità di forti riforme regolamentari.
E’ possibile ancora credere, a questo punto, che l’Europa possa avere la minima volontà di varare delle riforme incisive sul fronte finanziario? Ci sembra proprio di no.