L’apporto economico del cittadino immigrato
Federico per Esserevento - Khorakhanè del 7 Luglio us
I diritti son diritti. Per tutti. E non sarebbe nemmeno il caso di star qui a discutere. Ma se proprio volete, non lo capite. Mi adeguo al livello. Faccio i conti della serva.
Una valutazione realistica dell’apporto economico del lavoro extracomunitario è resa complessa dall’assenza di indagini tecniche indipendenti. Proprio la difficoltà nel reperimento delle informazioni apre a posizioni ideologiche infondate. Sappiamo però che il totale delle imposte e dei contribuiti dei lavoratori stranieri somma 10 miliardi di euro nel 2007 (dati INPS, banche dati dei lavoratori e redditi lordi). Il che equivale ad una normale finanziaria. Il valore aggiunto è invece pari a 122 mld., circa il 10% del PIL (dati Centro Studi Unioncamere, Istituto Guglielmo Tagliacarne). Solo le imposte sui consumi generano circa 1 mld a vantaggio dell’erario perché il reddito da lavoro degli extracomunitari è mediamente quasi la metà del reddito medio dei lavoratori italiani e quindi viene investito totalmente in consumi. Alle entrate fiscali sui consumi si aggiunge, ovviamente, il beneficio dovuto all’incremento degli stessi che contribuisce alla domanda interna e quindi all’incremento del PIL. Poiché gli immigrati che versano i contributi hanno un’età media di 31 anni contro i 45 degli italiani, ne consegue che i contributi degli extracomunitari pagano le attuali pensioni degli italiani. Questo, presumibilmente, fino alla convergenza delle età medie, momento in cui si raggiungerà l’equità contributiva. Poi, per giunta, molti degli immigrati non raggiungono il minimo dei contributi necessari al trattamento di pensione e pertanto c’è un “benefit” per i conti pensione dell’I.N.P.S. Da molto tempo la popolazione italiana è scaduta dal rapporto aureo 1,5 lavoratori ogni pensionato (attualmente se considerassimo solo i nostrani saremmo 2 pensionati ogni lavoratore) e, pertanto, abbiamo un bisogno disperato di lavoratori extracomunitari che versino contributi all’I.N.P.S.
La disaggregazione per apporto delle “badanti” non intacca in alcun modo il valore aggregato. Potrebbe però essere interessante disaggregare per categoria se non fosse che i governi domestici non hanno mai istituito una Commissione indipendente. Il che aggrava e ridicolizza ogni politica nei confronti dell’immigrazione perché presa su basi ideologiche e quindi infondate e, di conseguenza, inefficaci, casuali e manipolatorie. Per ottenere informazioni riguardo categorie specifiche, è necessario affidarsi al Centro Studi di Politica Internazionale.
Il 21% degli iscritti all’INPS è costituito dai lavoratori domestici a servizio delle famiglie italiane. Il 45,5% delle donne straniere appartengono a questa categoria (INPS Caritas 2009). Com’è evidente nel grafico allegato, le domande sono di circa 4/5 volte le quote stabilite fra il 2005 e il 2008. Inoltre, le domande per assistenza familiare costituiscono la totalità delle quote del 2008 per lavoro non stagionale. Ciò significa che è praticamente impossibile regolarizzare un immigrato anche perché la quota del 2008 è servita solo ad assorbire le domande dell’anno precedente. Anche tenendo conto delle richieste fraudolente, è evidente il divario fra la richiesta di questo tipo di assistenza e la quota messa a disposizione dal Governo. Sembra che questa categoria di lavoratrici stia colmando l’atavica assenza di politiche sociali. In altri termini, a meno di non aderire all’aberrante e ridicola proposta dell’articolista della Padania che proporrebbe di caricare di gerle e vanghe anziani non autosufficienti, i fondi che si dovrebbero versare per ottenere un welfare pubblico dignitoso, al momento latitante, sono dirottati verso questa forza lavoro non domestica.
Una visione corretta delle politiche sociali per l’assistenza coinvolge il lungo periodo. Il CeSPI rende evidente come le aspettative dei maggiori esperti del settore convergono verso l’aspettativa di un forte incremento della richiesta di assistenza familiare in un orizzonte di 10 anni. Inoltre, la manodopera straniera occuperà posizioni di livello più elevato nella catena del welfare, in particolare Operatori Socia-Assistenziali e Operatori Socio Sanitari diminuendo così l’offerta di assistenza domiciliare. In quest’altro grafico in allegato ancora più preoccupante il divario atteso fra domanda ed offerta di lavoro nel settore.
Infine in questo grafico allegato si vede come la situazione non potrà che peggiorare nel tempo perché le pensioni tenderanno a diminuire nel prossimo futuro, inducendo quindi l’insostenibilità finanziaria del sistema. L’incremento della domanda e il ridotto potere d’acquisto dei nuovi pensionati renderà ancora più urgente la concorrenzialità dell’Italia nei confronti degli altri paesi dell’area euro in questo mercato specifico. Se, infine, si tiene presente la prospettiva di miglioramento delle condizioni economiche dei Paesi dell’Est e la conseguente riduzione dell’offerta, diviene evidente che le politiche da adottare sono esattamente il contrario di ciò che si sta attuando in questa fase politica. In sintesi, da un lato il governo si disinteressa delle politiche sociali a favore dei non autonomi e dall’altro riduce la disponibilità dell’assistenza privata. Pagheranno, in termini di spesa privata e riduzione dell’accesso al lavoro da parte dei familiari che dovranno sostituire il lavoro delle assistenti alla persona, le famiglie che devono confrontarsi con questo problema. In termini di economia aggregata, ovviamente pagheremo tutti [...]