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Come coprire i costi pubblici della crisi

8 ottobre 2009 0 commenti

steinbruck_in_hildenIl primo settembre pubblicavamo un’informazione relativa alle dichiarazioni di Lord Turner, presidente della Financial Service Authority (PSA), l’organismo pubblico che in Gran Bretagna  è responsabile della supervisione del settore finanziario del paese. L’autorevole personaggio  sottolineava che il settore finanziario era diventato  un fattore destabilizzante per il paese e che le sue dimensioni e il suo peso erano cresciuti sino ad un livello che andava al di là di quanto era socialmente accettabile. Tra le proposte avanzate  dal funzionario britannico per cercare di rimediare a tale stato di cose c’era quella dell’introduzione di  nuove tasse sul settore per ridurre i troppi profitti degli istituti e le paghe troppo elevate dei suoi manager.

I rilievi e le proposte del presidente della FSA hanno avuto un rilevante clamore trovando importanti sostegni, ma anche feroci opposizioni da parte di diversi personaggi della City, con l’accordo  anche di molti dirigenti ed istituzioni di Wall Street. L’attenzione si è concentrata soprattutto sull’idea di rispolverare l’idea della cosiddetta Tobin Tax, dal nome dell’economista statunitense che aveva proposto nel 1972 una piccola tassa su tutte le transazioni relative ai cambi. Qualcuno ha calcolato che un meccanismo di questo tipo  avrebbe potuto portare tre i 30 e i 60 miliardi di dollari all’anno nelle casse pubbliche e avrebbe potuto essere usata per sostenere i paesi poveri.

Ma ora, mentre le idee di Lord Turner continuano a suscitare un vivo dibattito, il gioco tende a farsi anche più interessante con le dichiarazioni di Peer Steinbruch, ministro delle finanze tedesco fino alle recentissime elezioni.
Steinbruch parte dalla considerazione che i vari stati nazionali, per fronteggiare la crisi, hanno dovuto mettere in campo un enorme volume di risorse, tra capitali veri e propri versati dal governo alle banche in difficoltà, garanzie fornite, risorse immesse sul mercato dalle banche centrali e così via. Si pone ora per il ministro il problema di come far fronte alla copertura di tali risorse, in sostanza cioè di chi pagherà la fattura, su quanto di tale peso sarà scaricato sui contribuenti e quanto sul sistema finanziario. La decisione finale relativa a  questo punto determinerà alla fine, a detta di Steinbruch,  il livello di coesione sociale dei vari paesi, quello della stabilità dei mercati, nonché la reputazione degli stessi leader politici dei vari paesi interessati.

Il ministro propone in maniera molto netta l’istituzione di  una tassa sulle transazioni finanziarie a livello globale. Tale tassa dovrebbe essere applicata in maniera uniforme in tutti i paesi del G-20 ed essere pari allo 0,05%  di tutte le transazioni finanziarie, escluse quelle fatte dai privati. Essa dovrebbe coprire tutti i tipi di transazioni, quelle sulle azioni, obbligazioni, operazioni sui derivati e sui cambi, ecc…
Essa, data la sua misura ridotta, sarebbe pienamente sopportabile dai mercati finanziari, mentre potrebbe contribuire in misura sostanziosa a coprire i costi della crisi.

Secondo calcoli fatti dall’Istituto Austriaco di Ricerca Economica, citati dal ministro, tale tassa potrebbe generare ogni anno entrate pari a 690 miliardi di dollari, somma che è pari all’incirca all’1,4% del pil mondiale a prezzi di mercato e comunque ben superiore a quelle della eventuale Tobin tax. La proposta di Steinbruch ha il sostegno del governo tedesco - in Italia se ne è fatto portavoce Guglielmo Epifani - ed è stata presentata per l’approvazione al G-20 di Pittsburg. Essendo stata avanzata  da un membro così autorevole dello stesso consesso non si poteva certo dire direttamente di no. L’assise ha quindi semplicemente deciso di affidare al Fondo Monetario Internazionale uno studio sulla fattibilità della cosa. Il Fondo troverà poi naturalmente le vie, magari tra un paio d’anni,  per dire che  non si può fare o, almeno, per annacquare l’idea, rendendola digeribile persino a Wall Street e alla City, che hanno subito comunque dichiarato, per bocca di diversi loro esponenti, la loro ferma opposizione all’idea.

A noi la proposta tedesca  sembra complessivamente una buona idea ed appare in ogni caso positivo che  almeno se ne parli.