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L’alternativa al “tetto” per gli stipendi dei banchieri

29 ottobre 2009 0 commenti

di Santolò Cannavale

cannavaleNel suo articolo di fine Settembre (“Le rose e le spine di Mr. Obama”, pubblicato su ilsole24ore.com) Moisés Naim sostiene:  “L’economia statunitense sta recuperando prima del previsto, ma l’occupazione no. I licenziamenti proseguono e trovare lavoro non è facile. E intanto le grandi banche guadagnano soldi a palate, e i loro dirigenti continuano a concedersi stipendi che sono offensivi già in periodi normali, ma che in periodo di crisi rappresentano una provocazione aggressiva nei confronti di una popolazione che ha visto il denaro delle proprie tasse usato per salvare le banche di questi apprendisti stregoni. Nulla lascia presumere che il crack finanziario abbia intaccato l’avidità, l’arroganza e l’ignoranza di Wall Street. Ma tutto lascia presumere che gli americani siano furiosi con Wall Street, e i politici non possono permettersi il lusso di ignorare questo clamore popolare. Obama e i suoi ministri hanno promesso di imporre dei limiti agli eccessi finanziari e di mettere un tetto ai guadagni delle banche e agli stipendi dei banchieri.”

Stabilire un tetto per gli stipendi degli alti dirigenti bancari: sembra questa la soluzione prospettata da molti politici e questa l’indicazione perentoria che potrebbe uscire dai prossimi incontri del G20.
La crisi della finanza internazionale ha richiesto il massiccio intervento dei governi nazionali per il soccorso alle banche in grave difficoltà di liquidità e di fiducia. Tutto questo per evitare i fallimenti a catena: quello eclatante di Lehman Brothers del 15 settembre 2008 è un caso di scuola per la sua gravità e le sue conseguenze. La crisi ha imposto un obiettivo riesame delle regole che guidano la delicata attività di raccolta ed utilizzo del risparmio nazionale nonché di vigilanza sui comportamenti e le operazioni di investimento (rischiosi) poste in essere dalle banche, in particolare di quelle con dimensioni “troppo grandi per fallire” ed operative su scala sovranazionale.

La crisi, pur rilevante e dispendiosa per gli interventi operati con i soldi dei contribuenti e sovente con il ricorso al maggior indebitamento pubblico, non ha comportato la limitazione del concetto di libero mercato e non ha inteso ripristinare automaticamente il controllo diretto e pervasivo dello Stato sulle banche. Esse, in ogni caso e pur con tutte le loro peculiarità, restano aziende simili a tantissime altre operanti in concorrenza sui mercati di specifica competenza. Non appare utile ed opportuna la fissazione “per decreto” del limite massimo da attribuire alla remunerazione di banchieri ed alti gradi di dirigenza delle banche. Quali sono le motivazioni che portano alle spropositate remunerazioni degli alti dirigenti bancari?

In primo luogo l’esigenza avvertita di disporre di persone che sappiano guidare con competenza la banca e la portino a conseguire negli anni a venire il progressivo rafforzamento patrimoniale e la soddisfazione degli azionisti con adeguata (possibilmente crescente) distribuzione di utili. Non è insolita la sottrazione di manager ad altre banche concorrenti in un gioco perverso di aumenti irragionevoli dei livelli retributivi. Si lascino quindi i “comitati per la remunerazione” ed i consigli di amministrazione delle banche liberi di fare il proprio mestiere ed, eventualmente, i propri errori. Si lasci che vengano fissati (anche) stipendi spropositati nella loro parte fissa e variabile. Gli stessi, per loro dimensione e ragionevole presupposto, preluderebbero ad alti utili negli esercizi a venire.

Seguendo tale logica, il legislatore dovrebbe fissare - in relazione alla dimensione degli stipendi promessi e del periodo di prevista percezione degli stessi - ratios patrimoniali (tier1 e core tier1 capital *a) più sostanziosi rispetto alla media fissata per le banche con stipendi manageriali accettabili. Ogni banca sarebbe indotta a definire con avvedutezza e maggiore consapevolezza il livello degli stipendi attribuiti ai propri vertici, tenendo in debito conto il costo aggiuntivo per il rafforzamento (anticipato) dei propri ratios di bilancio. Le autorità di controllo dovrebbero essere puntualmente informate e gli azionisti dovrebbero essere relazionati nello specifico in sede di assemblea per l’approvazione del bilancio annuale. Seguendo tale impostazione le banche restano libere di modellare la struttura ed il livello dei propri costi di amministrazione futuri. Lo Stato, nella propria responsabilità di tutore del pubblico risparmio e, in generale, di regolatore dei mercati, fisserà adeguati livelli di salvaguardia collettiva consistenti in maggiori riserve di bilancio idonee a far fronte, tra l’altro, all’errore di stipendi spropositati e sovente mal ripagati.

*a) Il Tier1 Capital rappresenta la quota più solida facilmente disponibile del patrimonio della banca. Si compone di:
- Utili non distribuiti e riserve, al netto dell’avviamento;
- Azioni ordinarie e di risparmio;
- “Preferred Securities”, Obbligazioni perpetue richiamabili non prima di 10 anni, il cui pagamento può essere sospeso in presenza di andamenti negativi della gestione e privilegiate solo rispetto alle azioni ordinarie e di risparmio.
Il Tier1 Capital Ratio è dato dal rapporto fra il patrimonio di base della banca e le sue attività ponderate in base al rischio. Il var è il metodo per quantificare il livello di rischio e misura la massi-ma perdita potenziale che ci si attende possa essere generata riguardo uno specifico orizzonte temporale.  Il valore minimo richiesto per considerare la banca sufficientemente solvibile e patrimonializzata è il 6%. Più alto è il Tier migliore è la solvibilità della banca.
Il Core Tier1 indica il Tier1 Capital al netto degli strumenti ibridi. Ossia al netto di quegli strumenti finanziari che possono essere emessi dalle banche sotto forma di obbligazioni, certificati di deposito e buoni fruttiferi o altri titoli e sono rimborsati ai sottoscrittori su richiesta dell’emit-tente con il preventivo consenso della Banca d’Italia.