Intervengono Paolo Pastore e Vincenzo Comito
Paolo Pastore interviene sul dibattito nato dall’articolo di Vincenzo del 26 Ottobre. Paolo è il direttore di Fairtrade Italia. Vincenzo replica subito dopo.
«Salve a tutti,
ho letto con interesse il vostro dibattito, in quanto direttore di Fairtrade Italia devo precisare alcune cose:
- gli standards internazionali del caffè definiti in sede FLO ed applicati da tutte le maggiori organizzazioni di commercio equo mondiali, definiscono per il caffè come per altri prodotti un prezzo minimo, che può anche essere più elevato, in quanto dal minimo si va a crescere
- al Ft premium, come sottolinea Giorgio dal Fiume, vanno aggiunti altri criteri, il FT premium (premio FT), la relazione continuativa, il prefinanziamento , la cooperazione tecnica etc…
- come si può desumere da cio’ (i criteri sono comunque pubblici sul sito di Fairtrade, il prezzo è solo una delle componenti di cosa vuol dire commercio equo.
- le critiche che affiorano in inghilterra possono anche essere frutto del fatto che in quel mercato grazie ai grandi sforzi ed alla cooperazione fra tutti i soggetti del Mondo Equo e Solidale il caffè equo ha oramai una quota di mercato del 25% circa… e questo “stimola” anche le reazioni delle Lobbyes (in italia siamo forse allo 0.5% del mercato tra bdm e supermercati….
- RainForest rappresenta uno sforzo positivo sul fronte ambientale (anche lavazza ha un caffè con questo logo)ma certamente e ben lontano da quello che noi di Fairtrade consideriamo commercio equo e tra l’ altro non vive dei propri ricavi, ma della benevolenza di alcune fondazioni meritevoli americane (es Bill Gates e similari) non è comunque commercio equo.
Saluti Cordiali, Paolo Pastore»
risponde Vincenzo Comito
“Mi fa piacere che delle mie brevi note sul commercio equo, che riportavano gli elementi più importanti di un articolo del Time, abbiano suscitato tanto dibattito, in particolare con le osservazioni di Alessandro VI, Cangemmi, Dal Fiume, Pastore.
Rispetto alle tematiche affiorate in tali interventi vorrei sottolineare solo un paio di cose:
1) una precisazione specifica rispetto a quanto scritto da Pastore è quella che Time è un giornale statunitense e non britannico; questo ovviamente non esclude che chi si sente danneggiato dalle azioni del commercio equo possa tentare di influenzare i media anche di un altro paese; peraltro io personalmente non cerco di vedere complotti dappertutto;
2) una precisazione invece di tipo generale. L’articolo statunitense riferiva dei fatti documentati e con i fatti non ce la si può prendere perchè è noto che il giornale, prima di pubblicare una notizia, controlla da più fonti la sua veridicità; il testo era peraltro circoscritto al settore del caffè e a FLO e sottolineava chiaramente, come io stesso ho poi fatto, che la strategia della stessa FLO per attenuare l’inconveniente andava proprio nella direzione di puntare sui prefinanziamenti, sull’assistenza tecnica, ecc; quindi non capisco le osservazioni che vengono fatte da più parti su questo punto, come se non ne avessimo parlato.
Vorrei comunque ricordare che anche delle organizzazioni che portano avanti degli scopi nobili, come il settore del commercio equo e solidale - settore di cui personalmente, per quello che ciò può valere, sono un estimatore - possono avere, come tutti del resto, dei problemi e presentare delle difficoltà; quindi mi sembra lecito accennarne e mi meraviglio, in un certo senso, che la cosa possa avere suscitato scalpore e risentimenti; tutto questo mi conferma nella mia idea, già espressa in una mia prima replica sul tema, che forse uno dei problemi del settore, almeno in Italia, è quello di essere almeno parzialmente chiuso in se stesso, suscettibile, timoroso che qualche esterno “parli male” dell’organizzazione; si ha la sensazione cioè che esso si sentai nella sostanza assediato. Questo mi sembra un sintomo di fragilità e debolezza”.