Il riutilizzo della spazzatura sulle coste
Abbiamo più volte discusso di come il ritorno economico di alcuni impianti industriali sia legato al fatto che ci debba essere un certo flusso continuo di materia prima capace di garantire una determinata e soddisfacente produzione annua. Vi immaginate se una fabbrica programmasse la propria produzione industriale senza ricorrere ad alcun tipo di importazione di materia prima, ma utilizzando solo ed esclusivamente i rifiuti trasportati dalle correnti sui litorali?
A tal proposito e con le dovute proporzioni del caso, ho letto con un certo interesse una notizia relativa ad un impresa del Kenia che opera in questo modo. La società africana è capace appunto di produrre una vasta serie di utensili eterogenei partendo solamente dal recupero delle ciabatte che in grandi quantità ogni anno vanno a finire sulle spiagge del Kenia settentrionale.
Questi rifiuti erano diventati negli ultimi anni un vero e proprio incubo per i residenti. Sulle coste infatti venivano trascinate decine di migliaia di queste scarpe provenienti dall’Asia ed in particolare da Cina, India, Malesia e il Madagascar attraverso la corrente della Somalia. Julie Johnstone è il fondatore della rivoluzionaria e singolare società, specializzata appunto nella raccolta di questo tipo di scarpe, che poi vengono trasformate in tanti tipi di utensili.
La società è abbastanza grande, considerando che al suo interno vi lavorano 150 dipendenti che, in quattro anni di esistenza dell’azienda, hanno raccolto una quantità enorme di materia prima. Secondo Jhonson gli oceani sono ormai diventati delle enormi discariche di rifiuti ed è lo stesso responsabile che parla di ciò che su Ecoblog avevamo già trattato in passato, ovvero dell’esistenza di un’enorme discarica galleggiante profonda che si trova tra il Giappone e le Hawaii, una massa di detriti galleggianti di plastica la cui superficie è equivalente a due volte quella degli Stati Uniti.
L’iniziativa è nata quando si è osservato come le donne dei luoghi si impegnavano nella raccolta di sandali che i bambini poi utilizzavano come giocattoli. Da qui l’obiettivo, riferisce Jhonstone, di pulire le coste, ma allo stesso tempo dare un lavoro creativo per la gente del posto come appunto una nuova possibilità per lo sviluppo. L’idea, conclude infine, è quella di lanciare un messaggio che in Africa estono soluzioni ai problemi globali come l’inquinamento degli oceani.
L’impresa è andata ben al di là della semplice produzione di giocattoli, tanto che oggi la società è capace di produrre sacchetti di plastica e gomme partendo da ciò che offre il mare. Bella favola destinata a concludersi come tale o esempio su cui riflettere e creare uno sviluppo economico, sociale ed ambientale?
Via | Swahili-imports.com
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