Onu, nessuna grande decisione al vertice di New York sul clima
Nessun grande accordo nella conferenza sul clima tenutasi a New York e organizzata dalle Nazioni Unite. Al Gore, presente alla riunione, avrebbe apprezzato solamente le proposte più concrete che sono state portate avanti da Cina e Giappone. Sembrerebbe invece essere stata al di sotto delle attese la parte degli Stati Uniti con il presidente Barack Obama che, pur sottolineando come “il tempo del fare stringe” e che “bisogna agire subito per evitare una catastrofe irreversibile”, non ha offerto nuove soluzioni.
Il vertice sul clima, al quale hanno partecipato oltre cento leader mondiali giunti a New York per la Assemblea Generale dell’Onu, è stato aperto da un appello di Ban Ki-Moon che ha lanciato l’allarme sottolineando come si abbiano meno di dieci anni per evitare gli scenari peggiori. Nonostante le premesse sono parecchi i partecipanti che hanno definito come deludente e poco costruttivo quest’incontro.
Su tutti Nicolas Sarkozy secondo cui i negoziati sono giunti ad un punto morto e che, al fine di dare nuova linfa alla questione, ha proposto un vertice a novembre delle maggiori economie industrializzate in vista della conferenza di Copenaghen che si terrà a dicembre. In questo clima di pessimismo, di parole di allarme, ma di pochi passi concreti per uscire dallo stallo, sono balzati in evidenza gli interventi della Cina e del Giappone.
Il presidente cinese Hu Jintao, rispondendo alle critiche di mancanza di azione nella lotta ai cambiamenti climatici, si è impegnato a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 15% entro il 2020 (rispetto al livello del 2005) con un calcolo agganciato alla unità di PIL. Un impegno quello della Cina che rimarca come però si dovrà considerare il fatto che i Paesi in via di sviluppo dovranno avere responsabilità diverse rispetto a quelli sviluppati in tema di lotta al riscaldamento globale.
Fra le soluzioni al raggiungimento della percentuale del 15% di non utilizzo dei combustibili fossili vi sarebbe, oltre che le energie rinnovabili, anche quella nucleare. Decisione ferme e concrete sono giunte anche dal premier giapponese Yukio Hatoyama che ha ribadito l’impegno alla riduzione del 25% delle emissioni di gas serra entro il 2020, sottolineando però come il Giappone da solo non possa fermare i cambiamenti climatici e auspicando che tutti i Paesi sviluppati guidino la riduzione delle emissioni.
Fra chi non ha destato stupore, come già accennato, pure Obama. Il Presidente ha sottolineato come gli Stati Uniti siano attualmente impegnati a fare un investimento senza precedenti nel campo della energia pulita, ad applicare nuovi standard per ridurre le emissioni di gas inquinanti dei veicoli e a fornire assistenza tecnica ai paesi sottosviluppati, ma ha anche ammesso che molto dipenderà dalle azioni di un Senato alle prese al momento con alcune priorità fra cui la riforma della sanità.
Gli americani hanno inoltre contestato le pressioni europee per l’uso dei livelli del 1990 come base di partenza per i tagli alle emissioni. Gli Stati Uniti desiderano infatti partire da livelli più recenti, ovviamente più vantaggiosi per la loro economia.
Com’è ovvio che prima o poi si sarebbe verificato, iniziano le vere difficoltà per il governo degli Stati Uniti che si trova ora ad un bivio in cui deve essere capace di trovare l’ago della bilancia fra una delle più grandi economie industriali del mondo e una rivoluzione verde che richiederà tempo e denaro. Di certo siamo ancora agli inizi, con diritto di critica ovviamente, ma ancora lontani da bocciare quanto proclamato da Obama a più riprese.
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