LA CATTIVA URBANISTICA CHE FA PRECIPITARE LA CRISI ITALIANA
Mentre il Governo italiano dibatte l’ennesima versione della manovra annunciata il 13 agosto, appare sempre più evidente come la crisi segna la fine di un’epoca di sprechi e di follie urbanistiche.
I comuni italiani sono senz’altro i primi a sentire gli effetti della crisi attraverso i tagli al bilancio imposti dalle varie finanziarie e dalle manovre correttive.
Tuttavia, i comuni italiani sono anche i primi responsabili di questo stato di dissesto finanziario e territoriale.
E l’urbanistica malata applicata nel corso degli ultimi 40 anni dalle amministrazioni comunali è tra i fattori principali che contribuiscono a generare la spaventosa crisi legata al debito pubblico italiano.
Sappiamo benissimo come nel 1970 l’Italia non aveva debito pubblico e vale la pena ricordare anche come nel 1970 vengono introdotte in Italia le Regioni generando dei centri di spesa colossali, degli apparati burocratici elefantiaci che hanno divorato enormi somme di denaro pubblico.
L’Italia non aveva debito pubblico fino al 1970. Poi sono arrivate le Regioni e le loro centinaia di migliaia di dipendenti, le loro lentezze burocratiche, e, ovviamente, il Compromesso Storico tra DC e PCI che elimina praticamente la sana dialettica maggioranza-opposizione e inizia a produrre il gigantesco debito pubblico italiano attraverso leggi di spesa emanate per comprare la “pace sociale”.
La pace sociale fu comprata e iniziò la spartizione della RAI, la pratica delle tangenti che vedeva ogni opera pubblica soggetta a questa odiosa e improduttiva gabella: in una parola TANGENTOPOLI.
Tutti i Piani Regolatori venivano affidati ad architetti scelti dai partiti -le famose terne DC-PCI-PSI- e la spesa pubblica italiana dilagava producendo il colossale debito pubblico che, oggi, mette a rischio la permanenza dell’Italia all’interno dell’Unione Europea e la stessa esistenza dell’UE.
La vicenda di Sesto San Giovanni dimostra come l’urbanistica malata continua a produrre danni e corruzione, ma gli effetti di un cattivo modo di pianificare il territorio si evidenziano anche alla scala della dispersione e dell’inefficienza.
Uno degli esempi più eclatanti è quello di Bologna.
Il capoluogo emiliano conta 383.000 abitanti su una superficie urbanizzata di circa 9.000 ettari.
Sulla stessa superficie urbanizzata a Torino vivono 900.000 abitanti con università, musei e la sede della FIAT.
Sulla stessa superficie, addirittura, a Parigi vivono 2.150.000 abitanti, con musei, 20 università, 7 stazioni ferroviarie. 14 linee di metropolitana.
A Parigi, sulla stessa superficie urbanizzata di Bologna, ci sono i parchi del Bois de Boulogne, i Jardins de Luxembourg, Parc Monceau, la Butte Chaumont, il Jardin de Plantes, etc.
Confrontando Bologna con comuni di analoghe dimensioni demografiche: Bilbao, Palma di Maiorca, Nizza, risulta che la stessa popolazione di Bologna vive a Bilbao su una superficie urbanizzata di soli 2.000 ettari, a Palma di Maiorca su 7.500 ettari, a Nizza su meno di 5.000 ettari (incluse le seconde case e gli hotels che pesano più del 25% del totale).
Tutte le città della Pianura Padana vivono una simile condizione di spreco e inefficienza ambientale.
Modena ha 180.000 abitanti su una superficie urbanizzata di 4.000 ettari, mentre San Sebastian ha la stessa popolazione ma su soli 1.800 ettari.
Verona ha una popolazione di 265.000 abitanti su una superficie urbanizzata di circa 14.000 ettari mentre Gijon ha 275.000 abitanti su una superficie urbanizzata di soli 6.500 ettari.
Padova ha una popolazione di 212.000 abitanti su una superficie urbanizzata di 4.000 ettari mentre la stessa popolazione a Oviedo è insediata su soli 970 ettari.
Analizzando lo sviluppo urbanistico dei comuni italiani in rapporto con il loro sviluppo demografico nel corso degli ultimi 40 anni, cioè in parallelo con l’esplosione del debito pubblico, è evidente il peso dell’urbanistica malata della dispersione e dello spreco nel fare precipitare la crisi italiana.
Il Comune di Bologna nel 1971 aveva 500.000 abitanti insediati su una superficie urbanizzata di 5.000 ettari.
Oggi, sono 383.000 su una superficie urbanizzata di circa 9.000 ettari.
Ora la superficie urbanizzata è quella delle strade, delle reti fognarie, delle reti dei trasporti pubblici. Più la superficie urbanizzata è grande maggiori sono i costi di gestione di un comune.
Il risultato finale è che il commissario governativo che ha governato la città negli ultimni 2 anni ha speto 1.200 lampioni pubblici per risparmiare.
Il risultato finale è che il biglietto dell’autobus è salito a 1,20 euro, cioè uguale a quello di Parigi dove, per la stessa somma, l’utente può utilizzare l’autobus, ma anche i 1.000 km di rete metropolitrana, il tram…
Il risultato finale è che le rette degli asili esplodono, la società che gestisce le reti pubbliche – HERA- spegne ogni notte, a rotazione, l’illuminazione d’inbtere strade per risparmiare.
La domanda diventa, a questo punto, pressante: quanto incide questa cattiva urbanistica sulla crisi italiana?
Quanto pesa la gestione dissenata e orientata alla dispersione e allo spreco di comuni come Bologna, Padova, Modena, etc.?
Quanto migliore sarebbe il bilancio pubblico italiano se le amministrazioni comunali avessero seguito la strada virtuosa percorsa da Parigi, Bilbao, Nizza, San Sebastian?
La spaventosa crisi del debito pubblico italiano mette a rischio la permanenza dell’Italia nell’Unione Europea e la stessa esistenza dell’UE.
E’ urgente procedere a una seria riforma dell’urbanistica delle città italiane, abbandonando il modello della dispersione, del consumo a macchia d’olio del territorio, della costruzione d’ipermercati circondati da immensi parcheggi.
E’ urgente per migliorare la qualità dell’abiente delle città italiane e, oggi più che mai, per contribuire ad alleggerire la pesante situazione di dissesto finanziario dell’Italia e dei suoi comuni.