Lo Zoo Globale
C’era una volta la conservazione della natura. Erano gli anni ’70 e si parlava soprattutto di panda, di orsi e camosci, visti come simboli di un’avanzata distruttiva sul territorio degli impatti dovuti ad una economia crescente ed impetuosa. A livello internazionale si iniziava a parlare di limiti dello sviluppo, la crescita della popolazione umana (allora non arrivava a 5 miliardi di abitanti) veniva vista come il principale problema in termini generali per il pianeta.
Oggi siamo oltre 6 miliardi, oltre ad un problema quantitativo dobbiamo confrontarci con grandi, grandissimi paesi come Cina, India e Brasile che hanno l’obiettivo di raggiungere uno standard di vita pari a quello delle società occidentali. Come dar loro torto? Ma a questo punto è chiaro che esiste non solo un problema quantitativo, ma anche quello della crescente qualità del consumo di grandi parti della popolazione mondiale. Nel frattempo si sono sviluppate, soprattutto nel mondo anglosassone, intere aree della scienza che si occupano di natura (oggi preferiamo chiamarla biodiversità) come la conservation biology (biologia della conservazione) o la landscape ecology (ecologia del paesaggio).
Le aree protette si sono sviluppate in modo esponenziale, nel 2003 è stata certificata dal V Congresso Mondiale una copertura delle terre emerse del 12%. Ma studi subito successivi hanno dimostrato che neanche questa rilevante estensione di aree specificamente dedicate alla conservazione sono sufficienti per garantire la sopravvivenza delle specie a lungo termine: insomma non bastano né gli zoo di una volta, con l’idea di riprodurre le specie in cattività e poi reinserirle in natura in tempi successivi, né le sole aree protette come parchi, riserve, monumenti naturali o aree wilderness.
Dobbiamo essere capaci di gestire la complessità, di conoscere meglio gli oltre 10 milioni di specie diverse la cui presenza è stimata sulla nostra piccola Terra, di sapere dove sono distribuite, quali popolazioni hanno, da quali dinamiche sono controllate – o minacciate. Dobbiamo collegare queste dinamiche alle scelte politiche, economiche, sociali legale alle attività della specie umana, se vogliamo essere efficienti ed efficaci nel garantire il futuro della vita sul nostro pianeta, incluso il nostro.
La scala temporale di questi fenomeni non è lunga: la presente generazione probabilmente vedrà un mondo molto diverso da quello attuale e al quale siamo abituati, se non avrà la capacità di rispondere rapidamente e risolutivamente sul proprio modo di sfruttare le risorse ambientali, ed in particolare la diversità delle specie e degli ecosistemi che si è sviluppata in milioni di anni. Ho personale esperienza di questa prospettiva di tempo: negli anni ’70, quando ero bambino, leggevo avidamente gli atlanti di geografia, ed ammiravo estasiato – grazie alla mia fervida fantasia legata alle descrizioni delle foreste tropicali che trovavo nei libri di Emilio Salgari che particolarmente amavo – grandissime macchie di verde in tutto il Sudamerica, America Centrale, Africa ed Asia. Immaginavo le tigri che inseguivano Sandokan in territori immensi nei quali ci si spostava saltando con le liane. Ebbene, in gran parte quelle macchie di verde non ci sono più, se guardiamo recenti fotografie satellitari, mangiate dall’avanzare delle strade, dell’agricoltura, degli incendi. Tra le mie letture c’era anche la descrizione sulle riviste della “mitica” Panamericana, allora ancora non completata. Non sapevo che intorno a quella strada si stava consumando l’erosione degli ambienti naturali dei quali tanto fantasticavo.
Di tutto questo vuol parlare questo blog: di animali, di piante, di ecosistemi, di parchi, di strategie di conservazione nazionali ed internazionali, di iniziative di conservazione di associazioni e di governi, locali e statali. Insomma: dello zoo globale che è la nostra terra.