Ronde contro i lupi o cultura pastorale
E’ di questi giorni la notizia che secondo la Coldiretti è necessario organizzare turni di volontari che collaborino con i pastori alla sorveglianza di greggi e mandrie minacciate dai raid di lupi e cani selvatici. Il problema riguarda le vallate cuneesi dove secondo l’associazione agricola la convivenza con i lupi si fa sempre più difficile per i ripetuti attacchi registrati agli allevamenti che rendono la situazione “insostenibile dal punto di vista agricolo e ambientale ma anche per la stessa presenza dell’uomo nelle montagne”.
Secondo Coldiretti, con il ritorno del lupo il lavoro dei pastori è notevolmente cambiato divenendo sempre più complesso e oneroso e stravolgendo le abitudini di una pratica storica come quella della pastorizia in alta montagna. Il problema sarebbe che non è più possibile lasciare gli animali in alpeggio allo stato brado, impiegando il tempo in tutte le altre attività che caratterizzano il lavoro in montagna, dalla lavorazione del latte alla fienagione. Negli ultimi anni si è infatti reso necessario un continuo vigilare su greggi e mandrie, al fine di proteggerle da attacchi di lupi e cani randagi poiché recinzioni elettrificate e cani da pastori spesso non sono più sufficienti per scongiurare il pericolo.
Qualche numero: secondo i dati forniti dal “Centro per la conservazione e gestione grandi carnivori” sono centinaia gli animali rimasti vittima degli attacchi del lupo in Piemonte ai quali si aggiungono le stragi provocate dai cani randagi. Nelle ultime settimane un attacco a 17 vitelli avvenuto nel mese di luglio in Valle Tanaro.
Le soluzioni finora adottate (indennizzi per i danni da attacchi di canidi) non vengono più ritenute sufficienti da Coldiretti, che chiede tra l’altro un impegno più concreto a tutti gli organi competenti, indennizzi equi, spese per una maggiore sorveglianza, lotta al randagismo, celerità nell’erogazione degli indennizzi: insomma le “ronde contro i lupi”.
Il WWF replica che “le ronde proposte dalla Coldiretti contro i lupi non sono la soluzione” , ma bisogna invece “recuperare le conoscenze e l’approccio all’allevamento che si sono abbandonate con l’estinzione del lupo nel secolo scorso”.
Insomma, si dovrebbe provvedere non le ronde ma una strutturazione delle attività di pascolo che tenga conto, come un secolo fa, della presenza del grande predatore. In poche parole, ad esempio, l’inserimento di cani come i pastori abruzzesi che siano in grado di difendere il gregge; la messa in campo di recinzioni che tengano isolati i capi dai possibili attacchi; ed in effetti un sistema di rapido risarcimento dei danni da Canidi. La lotta al randagismo certamente rimane una priorità, in quanto è difficile distinguere gli abbattimenti di capi di bestiame effettuati da cani rinselvatichiti da quelli causati dai lupi. Ma, in fondo, il vero problema sembra essere la ricostruzione di un rapporto culturale dell’uomo con la montagna, che accetti la presenza dei predatori come un fatto naturale, come è sempre stato. Salvaguardando ovviamente anche i pastori, non solo i lupi.