Obama, la Fiat e il picco del petrolio
In questo mio articolo avevo brevemente recensito il film W., citando in particolare un illuminante e secondo me veritiero dialogo nello Studio Ovale della Casa Bianca, che spiega i veri motivi della guerra in Iraq, contrariamente alla versione ufficiale, rivelatasi poi infondata, della presenza di armamenti nucleari in possesso del satrapo Saddam Hussein.
Pensionato Bush, gli americani si sono affrettati a smentire uno dei luoghi comuni e degli argomenti più frequenti dell’antiamericanismo ideologico nostrano, quello di essere un popolo razzista, eleggendo il primo Presidente di colore della propria storia democratica.
In questo mio precedente articolo avevo preso nettamente posizione a favore della sua rivale Hillary nelle primarie del Partito Democratico. La mia beniamina è arrivata a un soffio dalla nomination e a una presidenza ancora più improbabile di quella di Obama, in un immaginario politico ancora profondamente maschile, ma anche per questo è stata insignita di una delle più alte cariche governative, quella di Segretario di Stato.
Devo dire però che, almeno in parte, mi sono ricreduto sulle capacità di Obama che, con il suo invidiabile stile disinvolto e rilassato (in inglese “understatement”) sta prendendo delle decisioni difficili in un momento storico terribile. E’ troppo accondiscendente nei confronti delle lobbies bancarie e finanziarie che con delinquenziale spregiudicatezza hanno causato la crisi economica che stiamo vivendo, ma sul piano energetico si sta muovendo bene. Ha annunciato una “rivoluzione verde” nel settore delle rinnovabili e del risparmio energetico promettendo un cambio di linea radicale degli Stati Uniti nella lotta ai cambiamenti climatici, ma è soprattutto nel settore dei trasporti che la sua strategia si differenzia radicalmente da quella del suo predecessore. Obama sembra aver capito chiaramente che il modello di mobilità preferito dai propri concittadini, fondato sull’uso smodato del trasporto individuale su gomma e del trasporto aereo, non ha futuro energetico e, nel recente viaggio in Europa, ha pubblicamente manifestato apprezzamento per gli efficienti sistemi di trasporto collettivo su ferro molto diffusi nel nostro continente (per fortuna non è venuto in Italia).
Si rende però conto che una svolta radicale in comportamenti profondamente connaturati allo stile di vita americano è poco praticabile. Come ho scritto in quest’altro articolo, il mito di libertà pionieristica racchiuso in quegli scatoloni metallici divoratori di benzina su cui amano passare gran parte della propria vita gli americani, sarà duro a morire. In termini di immaginario collettivo, chiunque abbia letto “On the road” di Jack Kerouac o abbia visto film come “Thelma e Louise” capirà quello che dico.
Allora, il Presidente Obama sta provando a procedere per gradi. Evita il fallimento delle potenti industrie automobilistiche nazionale con cospicui aiuti di Stato, ma in cambio impone l’accordo della Chrysler nientepopodimenoche con il topolino italiano Fiat che entra alla grande nel colosso americano senza metterci una lira (pardon euro), in cambio solo del Know how tecnologico accumulato nella produzione di macchine di serie a bassi consumi. E annuncia un piano per la riduzione drastica dei consumi energetici delle automobili americane entro il 2016.
Si tratta ovviamente di una scommessa difficile da vincere, ma la strategia è chiara: la riduzione della produzione conseguente al picco del petrolio sarà affrontata questa volta dagli Stati Uniti in maniera radicalmente opposta a quella di Bush: fine, anche se più lenta e graduale del previsto, dell’occupazione militare in Iraq per controllare i flussi petroliferi del medio Oriente, e riduzione dei faraonici consumi petroliferi interni con l’utilizzo di tecnologie più efficienti. Auguri, Mr. Obama!
Pensionato Bush, gli americani si sono affrettati a smentire uno dei luoghi comuni e degli argomenti più frequenti dell’antiamericanismo ideologico nostrano, quello di essere un popolo razzista, eleggendo il primo Presidente di colore della propria storia democratica.
In questo mio precedente articolo avevo preso nettamente posizione a favore della sua rivale Hillary nelle primarie del Partito Democratico. La mia beniamina è arrivata a un soffio dalla nomination e a una presidenza ancora più improbabile di quella di Obama, in un immaginario politico ancora profondamente maschile, ma anche per questo è stata insignita di una delle più alte cariche governative, quella di Segretario di Stato.
Devo dire però che, almeno in parte, mi sono ricreduto sulle capacità di Obama che, con il suo invidiabile stile disinvolto e rilassato (in inglese “understatement”) sta prendendo delle decisioni difficili in un momento storico terribile. E’ troppo accondiscendente nei confronti delle lobbies bancarie e finanziarie che con delinquenziale spregiudicatezza hanno causato la crisi economica che stiamo vivendo, ma sul piano energetico si sta muovendo bene. Ha annunciato una “rivoluzione verde” nel settore delle rinnovabili e del risparmio energetico promettendo un cambio di linea radicale degli Stati Uniti nella lotta ai cambiamenti climatici, ma è soprattutto nel settore dei trasporti che la sua strategia si differenzia radicalmente da quella del suo predecessore. Obama sembra aver capito chiaramente che il modello di mobilità preferito dai propri concittadini, fondato sull’uso smodato del trasporto individuale su gomma e del trasporto aereo, non ha futuro energetico e, nel recente viaggio in Europa, ha pubblicamente manifestato apprezzamento per gli efficienti sistemi di trasporto collettivo su ferro molto diffusi nel nostro continente (per fortuna non è venuto in Italia).
Si rende però conto che una svolta radicale in comportamenti profondamente connaturati allo stile di vita americano è poco praticabile. Come ho scritto in quest’altro articolo, il mito di libertà pionieristica racchiuso in quegli scatoloni metallici divoratori di benzina su cui amano passare gran parte della propria vita gli americani, sarà duro a morire. In termini di immaginario collettivo, chiunque abbia letto “On the road” di Jack Kerouac o abbia visto film come “Thelma e Louise” capirà quello che dico.
Allora, il Presidente Obama sta provando a procedere per gradi. Evita il fallimento delle potenti industrie automobilistiche nazionale con cospicui aiuti di Stato, ma in cambio impone l’accordo della Chrysler nientepopodimenoche con il topolino italiano Fiat che entra alla grande nel colosso americano senza metterci una lira (pardon euro), in cambio solo del Know how tecnologico accumulato nella produzione di macchine di serie a bassi consumi. E annuncia un piano per la riduzione drastica dei consumi energetici delle automobili americane entro il 2016.
Si tratta ovviamente di una scommessa difficile da vincere, ma la strategia è chiara: la riduzione della produzione conseguente al picco del petrolio sarà affrontata questa volta dagli Stati Uniti in maniera radicalmente opposta a quella di Bush: fine, anche se più lenta e graduale del previsto, dell’occupazione militare in Iraq per controllare i flussi petroliferi del medio Oriente, e riduzione dei faraonici consumi petroliferi interni con l’utilizzo di tecnologie più efficienti. Auguri, Mr. Obama!