Crollo dei consumi elettrici e felicità
Nell’articolo “Non tutte le crisi vengono per nuocere” ho analizzato i dati provvisori prodotti da Terna relativi ai consumi di energia elettrica in Italia nel 2008, rilevando un evento storico mai verificatosi dal dopoguerra ad oggi, cioè una riduzione sensibile sia del Consumo Interno Lordo, sia della richiesta in rete, rispetto all’anno precedente. L’evento assume maggiore rilevanza se esaminiamo i dati disponibili sempre sul sito di Terna relativi al primo semestre del 2009 e visibili nella tabella allegata, in quanto la tendenza alla diminuzione dei consumi si accentua ancora di più anche nell’anno in corso, prefigurando uno scenario di decrescita pluriennale verificatosi solo durante le guerre mondiali, a dimostrazione della forza distruttrice della domanda da parte della recessione economica in corso.
I dati più significativi del primo semestre 2009 sono, una riduzione della richiesta di energia elettrica di ben 8,2% rispetto allo stesso semestre del 2008 che, a parità di giorni lavorativi, corrisponde a un calo del 7,6%, un crollo della produzione termoelettrica del 20% in parte compensato dalla crescita della produzione idroelettrica di quasi il 35%, dell’eolico (+6%) e del saldo con l’estero (+16,7%).
Se il trend, come appare, si stabilizzerà intorno all’8%, a fine anno avremo una richiesta di circa 310 TWh rispetto ai circa 337 TWh dell’anno precedente. Una cosa veramente impressionante. Se a questo si associa il calo in corso dal 2006 dei consumi energetici complessivi (analizzato in dettaglio nei miei precedenti articoli 1 e 2), stiamo assistendo “in corpore vili” alle conseguenze energetiche, ambientali e sociali della tanto teorizzata decrescita. Confesso che a un peakoiler convinto come me sembrano meno stravolgenti di quanto qualche fanatico della crescita illimitata vorrebbe far pensare. Certo, il calo dei consumi elettrici deriva prevalentemente dalla riduzione delle attività industriali (che in Italia coprono il 50% dei consumi elettrici totali) e l’aumento della disoccupazione non fa piacere a nessuno. Sarebbero necessarie diverse politiche industriali e profonde politiche di redistribuzione dei redditi, ma non c’è niente da fare, dovremo prima o poi abituarci a una società che agli sprechi consumistici sostituisca stili di vita più sobri e frugali. Convincendoci che non è affatto vero che a maggiore benessere materiale corrisponda automaticamente maggiore felicità. Non sarà un caso che il recente rapporto sull’HPI (Happy Planet Index) ha calcolato che l’indice di felicità di alcuni paesi del Centro America è nettamente superiore a quello di paesi come l’Italia, molto più ricchi e opulenti.
I dati più significativi del primo semestre 2009 sono, una riduzione della richiesta di energia elettrica di ben 8,2% rispetto allo stesso semestre del 2008 che, a parità di giorni lavorativi, corrisponde a un calo del 7,6%, un crollo della produzione termoelettrica del 20% in parte compensato dalla crescita della produzione idroelettrica di quasi il 35%, dell’eolico (+6%) e del saldo con l’estero (+16,7%).
Se il trend, come appare, si stabilizzerà intorno all’8%, a fine anno avremo una richiesta di circa 310 TWh rispetto ai circa 337 TWh dell’anno precedente. Una cosa veramente impressionante. Se a questo si associa il calo in corso dal 2006 dei consumi energetici complessivi (analizzato in dettaglio nei miei precedenti articoli 1 e 2), stiamo assistendo “in corpore vili” alle conseguenze energetiche, ambientali e sociali della tanto teorizzata decrescita. Confesso che a un peakoiler convinto come me sembrano meno stravolgenti di quanto qualche fanatico della crescita illimitata vorrebbe far pensare. Certo, il calo dei consumi elettrici deriva prevalentemente dalla riduzione delle attività industriali (che in Italia coprono il 50% dei consumi elettrici totali) e l’aumento della disoccupazione non fa piacere a nessuno. Sarebbero necessarie diverse politiche industriali e profonde politiche di redistribuzione dei redditi, ma non c’è niente da fare, dovremo prima o poi abituarci a una società che agli sprechi consumistici sostituisca stili di vita più sobri e frugali. Convincendoci che non è affatto vero che a maggiore benessere materiale corrisponda automaticamente maggiore felicità. Non sarà un caso che il recente rapporto sull’HPI (Happy Planet Index) ha calcolato che l’indice di felicità di alcuni paesi del Centro America è nettamente superiore a quello di paesi come l’Italia, molto più ricchi e opulenti.